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La difficile arte di collezionare

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Collezionare

La difficile arte di collezionare

Installazione PAESAGGIOINTERNO di Alessandro Papetti, esposta al Lounge Intesa Sanpaolo durante Miart2018
Installazione PAESAGGIOINTERNO di Alessandro Papetti, esposta al Lounge Intesa Sanpaolo durante Miart2018

L’arte di collezionare arte, ovvero la gestione e la trasmissione di una passione. Al Miart appena concluso, nella Lounge Intesa Sanpaolo Fieramilanocity, main sponsor della fiera, se ne è discusso con due professionisti dello studio legale e tributario CBA: l’avvocato Nicola Canessa (partner dello studio) e Alessia Zorloni (of counsel nonché docente presso l’Università Cattolica di Milano).

Cresce la voglia di museo privato e molti collezionisti sono passati da una strategia del prestito e del dono alla realizzazione di un proprio museo. Perché? «I musei nascono per iniziative filantropiche o per lasciti di artisti – spiega Zorloni – e dalla volontà di preservare la memoria e l’identità familiare attraverso valori intangibili. Non sono censiti, ma possiamo stimare che nel mondo ci siano tra i 350 e i 400 musei privati d’arte contemporanea fondati da collezionisti viventi e con un profilo internazionale, il 70% dei quali inaugurato nel nuovo millennio. Nei prossimi due anni inaugureranno altri 20 progetti, come quello di Pinault all’ex Borsa del commercio di Parigi o del collezionista indonesiano Budi Tek a Bali». In effetti, i musei espongono il 20% (la Tate) o al massimo il 30% (Guggenheim) della loro collezione. Oggi i collezionisti privati hanno più potere d’influenza, siedono spesso nel board dei musei e comprano con l’accordo di esporre lì le opere. Ma non sempre tutto fila liscio: Eli Broad, quando ha scoperto che le opere promesse al Lacma di Los Angeles non sarebbero state esposte, ha deciso di costruire il suo museo privato. «Non sempre, poi, la collezione – spiega Zorloni – è ben organizzata, catalogata, assicurata e aggiornata nei valori».

Miart 2018. Stand Federico Luger Milano

Altro snodo chiave è il passaggio generazionale: «Ci viene chiesta l’analisi degli strumenti fiscali e legali», spiega l’avvocato Canessa. Tante le domande. Come trasmettere al meglio la collezione agli eredi? Come impedire che venga dispersa? Conviene metterla in una fondazione o in un trust? E gli aspetti fiscali? «La fondazione, come il trust, è un valido strumento per gestire, senza esserne proprietario, una collezione privata o un archivio di artista – spiega l’avvocato –. Lo scopo di pubblica utilità, caratteristico e imprescindibile nella fondazione, non consente che il patrimonio della fondazione venga trasferito agli eredi del fondatore. L’attribuzione di una collezione a un trust, detto successorio, può, invece, consentire sia un corretto passaggio generazionale, sia un’adeguata gestione della collezione. Dal punto di vista fiscale, tale attribuzione sconta l’imposta di successione e donazione nella misura del 4% sul maggior valore di un milione per ogni beneficiario, qualora tra beneficiario e disponente vi sia un rapporto di parentela in linea retta. La stessa imposizione vale in caso di successione, con una previsione specifica: si considerano compresi nell’attivo ereditario, per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario, l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni, ricomprendendo anche le opere che i collezionisti possiedono nelle loro case. Tale presunzione non si applica qualora la collezione sia custodita in caveaux, depositi o sia presso musei».

Altro tema caldo, rileva Canessa, è quello del capital gain sui trasferimenti di opere, distinguendosi tra “collezionista puro”, al quale non va applicato, dallo “speculatore occasionale”, cui invece si applica. «La linea di demarcazione tra uno e l’altro è sottile e non vi sono parametri certi ma alcuni indicatori - chiarisce -; tra questi, oltre all’abitualità e alla durata del possesso, si prevede, l’attività di restauro dovuta o di prestito, attività di valorizzazione che a mio avviso non possono essere inquadrate come speculative. Secondo una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 2001, la cessione di un’opera d’arte non preceduta da un acquisto (pertanto da parte di un erede o di un donatario) non comporterebbe lo svolgimento di un’attività commerciale a carattere occasionale e quindi non sarebbe soggetta ad imposizione». La Cassazione, nel 2011, ha confermato che la nozione di «attività commerciale» implica una pluralità di atti coordinati e diretti alla realizzazione del medesimo scopo, come, ad esempio la stretta correlazione tra l’atto d’acquisto e di vendita, o una serie di atti finalizzati all’incremento del valore del bene. «Di recente poi, la Cassazione (sentenza del 12 marzo 2018, n. 5911) – conclude Canessa – ha riqualificato come prodotto finanziario una compravendita di opere d’arte promossa da promotori finanziari con prezzo d’acquisto scontato (5-7%) e facoltà degli acquirenti di risolvere il contratto entro un certo termine, ottenendo il prezzo di listino. In tal caso, non si tratta di operazione tra privati, qualificabile come compravendita di arte garantita da un diritto di ripensamento e dalla restituzione delle opere in un termine prestabilito, ma d’investimento finanziario (soggetta alla normativa di riferimento), perché proposta da promotori finanziari».

Insomma, collezionare è semplice e complicato al contempo e una guida spesso è necessaria: «Il nostro servizio di art advisory gestito da esperti del tema è accessorio ai servizi di wealth management, ma è centrale nella gestione della relazione con il cliente, sempre intermediata dai nostri private banker - spiega Cristiana Fiorini, responsabile coordinamento commerciale di Intesa Sanpaolo Private panking -. Le richieste del cliente vanno dalle valutazione di singole opere e collezioni all’analisi dello stato di conservazione, dalle stime/perizie alla guida all’intermediazione e a tutti i servizi accessori».

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