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MAMbo “That's IT!”, Balbi indaga sull'ultima generazione di artisti in Italia

Benni Bosetto. Allegro ma non troppo, 2018; PVC, tessuto, acrilico / PVC, fabric, acrylic; courtesy l'artista e / of the artist and ADA, Roma / Rome; veduta dell'allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna; photo E&B Photo
Benni Bosetto. Allegro ma non troppo, 2018; PVC, tessuto, acrilico / PVC, fabric, acrylic; courtesy l'artista e / of the artist and ADA, Roma / Rome; veduta dell'allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna; photo E&B Photo

Le mostre generazionali su base geografica sono assai diffuse in Italia, sia quando si tratta di mappare gli artisti che lavorano entro il confine dello stivale, basti pensare ai numerosi – e talvolta infelici – tentativi al Padiglione Italia della Biennale di Venezia, sia quando il focus è sull'arte di paesi non immediatamente confinanti, come nel caso delle mostre del MAXXI dedicate a Turchia e Libano. Dunque, sulla carta, la mostra «That's IT! Sull'ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine» del MAMbo di Bologna – visitabile fino al 11 novembre – opera nel solco di una tradizione assai diffusa. Eppure dietro questa mostra c'è molto più di un'intenzione di raccontare l'arte del belpaese attraverso la lente della crisi del 2008. Si potrebbe dire che il museo si inserisce in un vuoto sistemico che ha colpito proprio la generazione di artisti presentati al MAMbo. Ne abbiamo parlato in esclusiva con il direttore Lorenzo Balbi, che ha firmato la mostra.

«That's IT! Sull'ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine» si presenta come una mostra generazionale e anche un referendum sul concetto di arte italiana. Cosa hanno di speciale questi artisti rispetto a quelli che li hanno preceduti?
Come sarà subito evidente ai visitatori, i protagonisti di questa mostra sono i millennials, una generazione di mezzo, tra baby boomers e nativi digitali, che è anche la mia e che ho avuto modo di conoscere in profondità nel mio percorso professionale come curatore responsabile - per quattro edizioni - della residenza per curatori stranieri della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Rispetto alla generazione X dei nati negli anni '60 e '70 ci sono stati degli stravolgimenti, come nell'approccio alla tecnologia, anche se è importante sottolineare che i millennials non sono nativi digitali.

In Italia ogni generazione di artisti ha avuto la sua mostra, a volte anche più di una. Quale è stato il tuo approccio curatoriale con una simile tradizione espositiva alle spalle?
Alcune delle mostre di cui parli sono state dei riferimenti importanti, come «exIT, nuove geografie della creatività italiana» curata da Francesco Bonami alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino nel 2002, una ricognizione nelle pratiche artistiche della generazione X. In un certo senso è l'ideale predecessore di «That's IT». Poi il MAMbo aveva una sua tradizione che ho voluto riportare alla luce. A partire dal lavoro di display dell'arte italiana a cura di Gianfranco Maraniello, che ha diretto il museo dal 2005 al 2015, oppure Spazio Aperto, coordinato da Dede Auregli alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna dal 1996 al 2006. Bologna ha un'eredità importante come palcoscenico dell'arte italiana.

Questa mostra inaugura anche la tua programmazione artistica nell'ala principale del MAMbo, la Sala delle Ciminiere, con un curioso cambio di prospettiva spaziale. Mi spieghi qual è il nesso tra il nuovo slittamento percettivo a livello architettonico e «That's IT»?
«That's IT» è più di una mostra generazionale dell'arte italiana perchè promuove un concetto dilatato di italianità rispetto al passato. Tra gli artisti invitati, ad esempio, c'è Petrit Halilaj, che è di origini kosovare e ha studiato all'Accademia di Brera di Milano, oppure Diego Tonus, che ha il passaporto italiano ma ha perfezionato gli studi al Sandberg Institute e adesso vive ad Amsterdam. Questa scelta artistica riverbera nello spazio del museo e nella città che lo accoglie. In un certo senso, si potrebbe dire che questo concetto fluido di appartenenza geografica è stato tradotto in una maggiore osmosi tra esterno e interno, da cui la decisione di aprire un'enorme vetrata sotto i portici da cui si può sbirciare dentro la mostra, o esporre le opere in spazi atipici, come il biliardo di Roberto Fassone in reception e il libro d'artista di Nicolò Degiorgis nel bookshop.

Come è nato il progetto espositivo?
La mia scelta curatoriale è stata di non imporre agli artisti un'opera specifica. Volevo piuttosto costruire ambienti, a partire dai quali far emergere preoccupazioni condivise come la questione dell'auto-determinazione, l'idea di arte come processo, il rapporto con la crisi economica calato nella dimensione professionale dell'artista. La precarietà e il difficile accesso alle economie di produzione hanno definito la nostra generazione ben oltre i confini dell'arte, e in mostra ti rendi conto che l'urgenza di autorappresentarsi supera la forma canonica del ritratto e vede l'artista inserito in un sistema economico estremamente instabile, mentre tenta di ritagliarsi un ruolo culturale e sociale.

Mi fai un esempio?
Proprio riflettendo su questi temi, Giuseppe De Mattia ha inscenato una performance dalla Stazione a Piazza Maggiore in cui vendeva oggetti contraffatti o piccole edizioni d'artista ai margini della legalità, e in mostra ne troviamo alcune tracce. Naturalmente quando chiedi agli artisti di essere loro a proporre un'opera, quasi tutti sceglieranno di approfittare della mostra per produrre opere nuove. Così i visitatori trovano opere inedite e il museo amplifica la sua missione e diventa luogo di produzione.

Eppure, rispetto alla generazione X, i millennials hanno dovuto fare i conti con un mercato dell'arte meno interessato, o meglio espansivo, nei confronti dell'arte italiana, con conseguenze fattuali a livello di capacità di produrre nuove opere. Come ha influenzato il tuo lavoro questo fattore “sistemico”?
È vero, spesso questi artisti non hanno un interlocutore tra le gallerie. Conti alla mano, dei 56 artisti e collettivi invitati – 66 persone – 42 non sono rappresentati da una galleria, dunque circa 2/3 del totale. Questo testimonia quello che stavi dicendo: le gallerie hanno più cautela nel puntare su artisti italiani giovani oggi, e gli unici a essere rappresentati sono ormai quasi quarantenni e hanno un portfolio ricchissimo di collaborazioni internazionali e mostre museali, come Margherita Moscardini, Danilo Correale o Ian Tweedy. Spero che questa mostra possa servire a mettere in contatto artisti e gallerie sotto l'egida del museo.

Se visitare le gallerie non basta più per stare al passo con i tempi, chi sono gli interlocutori di un museo o collezionista che voglia conoscere i giovani talenti artistici italiani?
Un interlocutore fondamentale in Italia sono gli spazi indipendenti, alcuni dei quali sono diventati dei punti di riferimento essenziali per la promozione delle nuove generazioni di artisti. Tra questi vale la pena segnalareCripta 747 a Torino, Tile Project Spacea Milano, Bocs a Catania,Centrale Fies a Dro e naturalmente i bolognesi Tripla, Nosadellae Locale Due. Chi conduce un'indagine sull'arte italiana non può non riferirsi a questi spazi e la lista è troppo lunga per citare tutti, ma nel catalogo non manca. È doveroso ricordare anche quelli che non esistono più, come Brown a Milano, la cui storia si è conclusa sebbene continui a ispirare il presente. La peculiarità di questi spazi di progetto sta nella loro ricchezza: alcuni sono espressione dell'artista che li ha fondati, altri sono assimilabili a gallerie. Per stare aggiornato sono nel comitato scientifico di Nesxt, un festival e osservatorio che si propone l'obiettivo di studiarli e mapparli.

Mi parleresti della mostra da una prospettiva economica?
La mostra è stata possibile grazie al main sponsor Hera e allo sponsor Gruppo Unipol, oltre alla regione Emilia Romagna che ha fornito ulteriore supporto per la produzione delle opere Naturalmente, i 24 artisti che sono rappresentati dalle gallerie sono stati sostenuti anche al di fuori delle logiche museali, così come gli artisti che pur senza la galleria possono contare su un collezionismo avviato. Quando possibile, i progetti sono stati presentati a collezionisti in anteprima, e, grazie al loro supporto economico, abbiamo potuto finanziarne la produzione. La formula ha funzionato perché per produrre - e acquistare - l'opera di un artista di questa generazione i prezzi, anche per le installazioni, superano raramente i 10mila euro.

Qual è stato, secondo te, il maggior contributo di questa mostra agli artisti?
Sembrerà strano, ma molti degli artisti di «That's IT!» si conoscono solo di nome, e la mostra è stata un'occasione importante per conoscersi dal vivo, parlare, condividere. Li abbiamo messi tutti nello stesso ostello a Bologna, alcuni nella stessa stanza, e durante l'allestimento e poi l'opening si è creata un'atmosfera inaspettata. Il MAMbo è diventato un luogo per fare comunità.
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Gli artisti partecipanti, in ordine di anno di nascita:
Matilde Cassani (1980), Giuseppe De Mattia (1980), Margherita Moscardini (1981), Michele Sibiloni (1981), Riccardo Benassi (1982), Ludovica Carbotta (1982), Danilo Correale (1982), Andrea De Stefani (1982), Giulio Squillacciotti (1982), Marco Strappato (1982), Carlo Gabriele Tribbioli (1982), Ian Tweedy (1982), Invernomuto (Simone Trabucchi, 1982 e Simone Bertuzzi, 1983), Francesco Bertocco (1983), Giovanni Giaretta (1983), Lorenzo Senni (1983), Alberto Tadiello (1983), IOCOSE (Filippo Cuttica, 1983, Davide Prati, 1983, Matteo Cremonesi, 1984 e Paolo Ruffino, 1984), Elia Cantori (1984), Giulio Delvè (1984), Elena Mazzi (1984), Diego Tonus (1984), Calori&Maillard (Violette Maillard, 1984 e Letizia Calori, 1986), Federico Antonini (1985), Alessio D'Ellena (1985), Nicolò Degiorgis (1985), Riccardo Giacconi (1985), Adelita Husni-Bey (1985), Diego Marcon (1985), Ruth Beraha (1986), Elisa Caldana (1986), Roberto Fassone (1986), Francesco Fonassi (1986), Petrit Halilaj (1986), Andrea Kvas (1986), Beatrice Marchi (1986), The Cool Couple (Niccolò Benetton, 1986 e Simone Santilli, 1987), Filippo Bisagni (1987), Benni Bosetto (1987), Lia Cecchin (1987), Alessandro Di Pietro (1987), Stefano Serretta (1987), Giulia Cenci (1988), Tomaso De Luca (1988), Julia Frank (1988), Marco Giordano (1988), Orestis Mavroudis (1988), Valentina Furian (1989), Parasite 2.0 (Stefano Colombo, 1989, Eugenio Cosentino, 1989 e Luca Marullo, 1989), Alice Ronchi (1989), Emilio Vavarella (1989), Irene Fenara (1990), Angelo Licciardello (1990) & Francesco Tagliavia (1992), Caterina Morigi (1991), Margherita Raso (1991), Guendalina Cerruti (1992).

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