Le “considerazioni sulle caratteristiche fisiche della tela nelle opere del Manzoni non assumono nessuna importanza” e dunque “analisi scientifiche appaiono inutili” e “non è possibile attestare con il dovuto rigore la contraffazione”. Così il Tribunale di Milano, chiamato a decidere in un'intricata vicenda penale che vedeva al centro sette opere sequestrate e attribuite a Piero Manzoni, l'artista di fama mondiale scomparso nel '63, spiega nelle motivazioni della sentenza, con cui ha condannato un avvocato bresciano per appropriazione indebita di quei lavori, che non si è potuto stabilire se quelle quattro “tele”, una “ovatta” e due “pacchi” siano autentiche o meno. Nel processo, davanti al giudice Monica Amicone, era imputato Carlo Pelizzari, difeso dal legale Alessandro Mainardi e accusato “della ricettazione delle sette opere”, della loro “commercializzazione” e di truffa per averle vendute a J.R., facoltoso imprenditore orto-frutticolo danese, collezionista di arte contemporanea, per 210mila euro (il loro valore, se fossero riconosciute come autentiche, sarebbe di circa 10 milioni di euro). Da queste accuse, però, l'imputato è stato assolto proprio perché, come scrive il giudice, con le testimonianze e le consulenze depositate nel dibattimento non è stato “possibile addivenire ad un giudizio di sicura falsità” delle sette opere, data la “estrema soggettività dei criteri utilizzati dai due esperti”, coinvolti nel procedimento.
In sostanza, il processo non ha sciolto i “dubbi circa la veridicità delle opere” attribuite al Manzoni, celebre per la sua 'Merda d'artista'. L'imputato, invece, è stato condannato a un anno e mezzo per essersi appropriato di quelle opere di proprietà del gallerista Giovanni Schubert, ucciso nel 2010 da un suo collaboratore e buttato a pezzi nei Navigli . Parti civili, con i legali Francesco Arata e Francesca Nobili, erano, infatti, gli eredi Schubert. Accolte, in sostanza, le richieste dell'accusa che aveva chiesto la condanna per la sola appropriazione indebita a due anni e l'assoluzione per il resto dei reati. I quadri, intanto, restano sotto sequestro perché il giudice penale ha rimesso a quello civile “la risoluzione della controversia sulla proprietà” e, quindi, nuove valutazioni sulla “veridicità” o meno dei lavori.
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