A Genova, lo scorso anno, l'arte contemporanea e i suoi operatori hanno subito un duro colpo inferto dalla controversa vicenda di Villa Croce,, terminata con la chiusura del museo il 18 gennaio 2018, poi riaperto e chiuso nuovamente a luglio, dopo l'organizzazione da parte della società Open di eventi discutibili. Il caso aveva visto fronteggiarsi due poli: da una parte, un folto gruppo di rappresentanti dell'arte contemporanea che sostenevano la linea culturale del museo e della neo-direzione di Carlo Antonelli e Anna Daneri, insediatisi a inizio anno; dall'altra, la Società Open che lo gestiva, supportata dall'assessora dimissionaria Elisa Serafini. La dirigenza di allora aveva optato per lo scioglimento del contratto di Carlo Antonelli (7 maggio 2018), seguito al trasferimento di Francesca Serrati (1 marzo), direttrice di Villa Croce che meglio di ogni altra conosce la collezione permanente. Ora Serrati è stata richiamata come responsabile della riapertura del museo, con il compito di direttore incaricato di occuparsi del riallestimento della collezione.
Ma le cose, per l'arte contemporanea a Genova, non si erano fermate lì. In estate, altri cambi di vertice: all'assessore alla
cultura e al marketing territoriale Elisa Serafini è succeduta Barbara Grosso; a Pietro da Passano, direttore “storico” di Palazzo Ducale, il 1 gennaio 2019 è subentrata Serena Bertolucci, prima alla guida del Polo museale della Liguria. Palazzo Ducale era già stato sotto i riflettori l'estate precedente, quando il presidente della Fondazione Luca Borzani aveva rassegnato le dimissioni e al suo posto era stato nominato il comico Luca Bizzarri.
Infine, la tragica vicenda del ponte Morandi. Un trauma per la città, una sofferenza che va ovviamente ben oltre i discorsi
sul calo del turismo e delle presenze nei musei.
Alla luce di questi passaggi, abbiamo deciso di osservare come la città si sta riorganizzando, dando la parola ad alcuni suoi
protagonisti, ora che il simbolo dell'arte contemporanea del capoluogo ligure, il Museo di Villa Croce, riaprirà al pubblico.
Elisa Serafini precisa che il progetto di riapertura di Villa Croce era stato avviato sotto il suo operato in assessorato,
con la delibera di Giunta del 14/06/2018 che dava il via alla riapertura del museo con l'allestimento della collezione permanente.
Barbara Grosso, Assessore al Marketing Territoriale, Politiche Culturali e Politiche per i Giovani: il futuro di Villa Croce.
Quando riaprirà al pubblico Villa Croce? È stata chiamata Francesca Serrati per il nuovo allestimento della collezione permanente.
Ci può dire quali sono le “regole d'ingaggio”?
Entro pochi mesi riapriranno il museo e la biblioteca di Villa Croce, che verrà restituita come spazio fruibile soprattutto
per i giovani. I lavori di ripristino della struttura museale sono quasi terminati e attualmente stiamo lavorando all'allestimento
della collezione permanente, coordinato da Francesca Serrati che è in organico al Comune di Genova e continua, con la dedizione
e la passione di sempre, a ricoprire il ruolo di direttrice del museo.
A quanto ammonta il budget a disposizione del museo? Da chi sarà composto il personale?
Il personale da adibire alla bigliettazione e all'apertura e chiusura del museo verrà inserito con le stesse dinamiche utilizzate
per gli altri musei cittadini. Inoltre verrà anche selezionata una figura di “curatore”, con il compito di gestire le esposizioni
temporanee che man mano verranno organizzate.
Quali prospettive di crescita ci sono per il museo? Si torneranno a fare mostre d'arte contemporanea? Quali partnership si
pensa di attivare?
Il museo sarà un contenitore in cui verranno inserite offerte diversificate, che possano incontrare gusti e aspettative dei
fruitori genovesi e di un pubblico internazionale. Nel giro di pochi mesi, come dicevo, riapriremo i battenti con l'esposizione
della collezione permanente, una raccolta di grande interesse per troppo tempo lasciata a giacere nei magazzini. Nel contempo
stiamo lavorando in vista del prossimo autunno, con l'obiettivo di portare a Villa Croce la mostra di un famoso artista contemporaneo.
L'intenzione è quella di proseguire su questo filone, con l'offerta di almeno un paio di mostre importanti ogni anno, ovviamente
attivando una capillare ricerca di sponsorizzazioni oltre a sinergie tra pubblico e privato, strategia utilizzata da questa
amministrazione e che sta dando buoni risultati.
Quali strategie e linee di indirizzo sta mettendo – o metterà – in atto l'assessorato in merito alla produzione e promozione
dell'arte contemporanea?
Sono convinta che l'innovazione tecnologica sia un sistema vincente per promuovere l'arte, in particolare quella contemporanea,
che per sua stessa natura spinge il pubblico a interrogarsi, sperimentare ed essere protagonista. È ormai assodato che la
digitalizzazione dei musei, oltre ad essere attrattiva per i giovani, migliori la user experience dei visitatori. Pertanto stiamo mettendo in campo un capillare miglioramento dell'informatizzazione dei musei. Un altro aspetto
è rappresentato dai laboratori all'interno del museo, che permetteranno ai visitatori di misurarsi direttamente con il mondo
dell'arte. Non solo: abbiamo pensato anche a una situazione in cui gli artisti diano vita ad una loro opera direttamente nei
locali del museo, una sorta di work in progress con il pubblico dei visitatori.
Anna Daneri: con Claire Fontaine a Palazzo Ducale
“Programmazione cancellata”: così si legge ancora oggi nella home page del sito di Villa Croce. Di quella programmazione,
i due curatori Carlo Antonelli e Anna Daneri erano riusciti ad allestire solo la prima mostra, “Vita, morte e miracoli”, mentre
la retrospettiva dedicata a Claire Fontaine, che avrebbe dovuto inaugurare il 9 maggio, era saltata. Ora quella mostra, la
prima grande esposizione in un'istituzione pubblica italiana dedicata al collettivo, si farà. A realizzarla è Palazzo Ducale
e la sua apertura è prevista per l'8 marzo, a ingresso gratuito, come voluto dagli artisti.
Il filo conduttore dei lavori di Claire Fontaine che saranno in mostra è l'economia. Ci puoi spiegare in che modo l'economia
viene assunta come oggetto d'indagine nel lavoro di Claire Fontaine?
Il titolo della mostra “La borsa e la vita” aiuta a capire l'approccio. Era il grido dei briganti che derubavano i viandanti
e Claire Fontaine lo riprende per evidenziare come le nostre vite siano in balia delle fluttuazioni borsistiche, di un sistema
economico che esige da noi non solo il denaro ma anche il tempo. La mostra è una retrospettiva “tematica”, che espone per
la prima volta in Italia un corpus consistente di opere realizzate a partire dal 2004 – anno di formazione di Claire Fontaine
– tutte intorno al tema del denaro, del valore, e della produzione di valore dell'opera d'arte. Ci saranno opere come i “Begging
Painting” o i “Wishing Painting” che calamitano a sé monete reali per evidenziarne il valore, anche desiderante, e l'idea
del mendicare o dell'auspicare una miglior fortuna; opere in forma di monete recanti la scritta “Please God Make Tomorrow
Better”, offerte gratuitamente ai visitatori; o le “Living Statues” che riflettono sulla mercificazione dei soggetti e a loro
volta potrebbero indurre all'offerta di denaro da parte delle persone. Gli spazi espositivi della Loggia degli Abati di Palazzo
Ducale saranno trasformati da un lavoro concepito per la mostra e che vedrà il pavimento ricoperto con pagine del Sole 24
Ore, creando un'immersione nell'attualità delle notizie economiche, mentre alle pareti scorreranno testi dell'artista che
rimandano a questioni più teoriche associati a citazioni sulla storia economica genovese.
La mostra sarà un'occasione per Genova per riflettere su un aspetto del suo passato – è a Genova che, nel 1407, venne istituito
uno dei primi istituti bancari al mondo – e direi anche e soprattutto del suo presente, in quanto le opere esposte interrogano
l'idea di valore e di frugalità. In che modo gli artisti interesseranno anche la città, calandosi in spazi extra-museali?
L'idea della mostra nasce proprio dalla primogenitura di Genova nello sviluppo di uno dei primi sistemi bancari della storia
e dall'essere stata, secondo Braudel, una delle prime città al mondo dove il capitalismo si è esplicato nelle sue forme più violente: “Questa straordinaria città
divorante il mondo è la più grande avventura umana del secolo XVI. Genova sembra allora la città dei miracoli”. Il lavoro
di Claire Fontaine si associa “naturalmente” alla città e lo fa a partire dal luogo che ne rappresenta meglio la storia, il
Palazzo Ducale da cui si irraggia la mostra grazie a un lavoro, “Untitled (rust & tears)” che compare sul portale di ingresso
su piazza Matteotti e che si diffonde nella città grazie ai supporti di comunicazione. Un'opera sarà esposta nell'atrio della
sede della Banca Carige, mente il programma degli eventi collaterali prevede visite ai caveau della stessa banca e di Banca d'Italia, incontri a cura del Dipartimento di Economia, visite guidate alla mostra da parte di studenti dell'Accademia Ligustica e visite in città ai luoghi della storia della finanza genovese. L'intento è anche quello di parlare a un pubblico allargato,
anche grazie alla decisione dell'artista di rendere la mostra gratuita.
Si parla di economia come oggetto delle opere. Parlando invece di economia in termini di produzione dalla mostra, puoi dirci
cosa è cambiato dal quella pensata per Villa Croce a questa a Palazzo Ducale?
La mostra si è espansa, è diventata una “grande mostra” e questo grazie all'impegno di Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale che l'ha resa possibile. Sono spazi diversi rispetto al museo e nonostante l'impianto di partenza sia simile, la forma che
assume è specifica.
Come vedi il prossimo futuro di Genova rispetto all'arte contemporanea?
Vedo tanti ostacoli, ma anche un interesse capillare, dal basso, di persone competenti, a far rinascere l'interesse nei confronti
del contemporaneo da parte di una città che ha visto nascere l'Arte Povera, riviste di eccellenza come il Marcatré, ma che
storicamente non ha saputo nutrire la sperimentazione e ha perso tante, forse troppe occasioni…
Francesca Pennone e Antonella Berruti: dalla parte del museo d'arte contemporanea
Direttrici della galleriaPinksummer, Francesca Pennone e Antonella Berruti hanno avuto a cuore le sorti di Villa Croce fin dall'inizio dei suoi scricchiolii,
quando nel 2011 scoprirono che il museo stava finendo nelle mani di una società che avrebbe creato parcheggi sotterranei al
parco della villa e in cambio si sarebbe fatta carico della gestione del museo. Da allora, con il lancio – insieme ad Anna
Daneri – di una petizione per salvare Villa Croce, le galleriste si sono sempre schierate in prima linea a favore di un museo
che potesse continuare un percorso di produzione e presentazione di ricerche artistiche di un certo livello.
Vi siete sempre schierate in prima linea a favore del museo. Come vedete la sua prossima riapertura?
Non in prima linea, ma sicuramente continuiamo a essere dalla parte del museo di arte contemporanea. Rispetto a Villa Croce
non sappiamo se è stato nominato un direttore artistico, o se il Comune di Genova abbia finalmente stanziato un budget per
la programmazione delle mostre temporanee conditio sine qua per riaprire come museo di arte contemporanea. Abbiamo sempre
pensato alla collezione di un museo come a una sorta di archivio delle scelte curatoriali che hanno informato le mostre temporanee.
Un museo potrebbe essere definito di arte contemporanea anche senza collezione, ma smetterebbe di essere credibile come museo
di arte contemporanea senza una programmazione di mostre temporanee. Nell'ultimo anno ne abbiamo visto di cotte e di crude
al museo. Le relazioni si costruiscono sempre sulle similitudini, anche quando si hanno scopi diversi. È venuta meno la legge
dei similia similibus curentor qui.
Come si presenta il mercato dell'arte contemporanea a Genova, ora, dopo le vicende catastrofiche sia in ambito dirigenziale/politico
sia con il crollo del ponte Morandi? Ci sono segnali di ripresa?
Pinksummer deve molto a Genova ve vorremmo che si facesse di nuovo incantare da un bel futuro. A volte è così ricettiva all'avanguardia.
Ora di fatto è sempre più isolata e in crisi, anche d'identità. Non è una città tanto abituata alle parate politico-mediatiche,
si indigna certo in cuor suo, ma non trova la forza di reagire. Genova ne sta passando di ogni: alluvioni, poi mareggiate
folli, il ponte e la banca. La cultura non è al momento una priorità anche se la mostra “Paganini rockstar” al Ducale si vocifera
che sia costata uno sproposito. Non se parla tanto in città di codesta esibizione e sono scomparsi anche tutti i grafici e
le percentuali mediatiche in questo senso. Ci siamo fatte l'idea che non deve essere stata proprio un successone nonostante
il copioso investimento istituzionale.
Avete portato Pinksummer come galleria pop-up prima a Roma e poi a Palermo, in occasione di Manifesta12, e questo vi ha permesso di saggiare altri contesti. Siete presenti a fiere nazionali. Sostenete i “vostri” artisti in occasione
di premi prestigiosi. Come viene percepito il “caso Genova” all'esterno?
Beh mai sul resto ovviamente, ma sugli Ultras blucerchiati al museo di Villa Croce ci hanno sfottuto parecchio.
Carlotta Pezzolo, Simona Barbera, Ronny Faber Dahl: gli spazi indipendenti
Simona Barbera e Ronny Faber Dahl sono gli animatori di Space4235, attivo dal 2010. Lo spazio, a ottobre 2018 ha temporaneamente chiuso un ciclo di progetti con l'ultima mostra “Parallels”.
Carlotta Pezzolo ha fatto parte con Hilda Ricaldone di Chan, spazio d'arte contemporanea che ha realizzato numerosi progetti espositivi tra il 2009 e il 2014. Chan e Space4235 in questo
periodo sono, insieme, alla ricerca di luogo adatto per aprire un nuovo spazio. Un luogo di ricerca e produzione attento alla
qualità dei lavori prodotti. Le spese sostenute dalle due organizzazioni – completamente autogestite e autoprodotte – sono
state inferiori ai 10.000 euro l'anno.
Nell'ultimo decennio gli spazi indipendenti e gli artist run space hanno rappresentato una forza propulsiva per l'arte contemporanea
in molte città di Italia soprattutto al nord, ma anche in località periferiche e lontane dai grandi centri di produzione.
Come si colloca Genova in questo panorama?
Chan ha rappresentato una sfida: volevamo uno spazio piccolo, un budget sostenibile. La spinta iniziale fu l'esigenza di veder
realizzati progetti di un certo tipo, di livello e qualità elevati, orientati al sociale e attenti al discorso politico, rivolti
ad artisti giovani e che parlassero un linguaggio aperto, in antitesi alla chiusura del mondo dell'arte. Per quanto riguarda
Space4235 (Simona Barbera e Ronny Faber Dahl) lo spazio è nato in risposta alla necessità di avere intorno una modalità espositiva
sperimentale, aperta, un luogo ampio in concomitanza con il nostro studio. Sentivamo il bisogno di far respirare lo spazio
espositivo come luogo per la ricerca artistica e la critica, ma anche di aprirci a un clima giovane e internazionale; siamo
riusciti nell'intento anche senza budget di riferimento. Con un forte interscambio internazionale, viaggiando moltissimo,
anche il nostro lavoro artistico è cresciuto e si è arricchito.
Vedete Genova come una città “depressa”? Pensate che al di fuori dai luoghi istituzionali e dalle gallerie commerciali ci
possano essere ancora delle possibilità per progetti indipendenti?
Crediamo ancora nella possibilità di realizzare qualcosa qui. Negli ultimi due anni con il progetto “Fumogeni” (in collaborazione
con l'artista Serena Porrati e il sostegno di Formech) siamo riusciti a portare a Genova Elizabeth Povinelli, una famosa antropologa, e Marco Armiero, direttore dell'Environmental Humanities Laboratory delKTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, a parlare sul tema dell'Antropocene. Il prossimo ciclo di incontri sarà orientato alle tematiche di materialismo,
scienza e tecnologia. Stiamo lavorando al calendario, ma un progetto del genere fatica a procedere nell'assenza totale di
finanziamenti. Al momento stiamo anche cercando il luogo adatto per aprire un nuovo spazio espositivo. Qualcosa di diverso
da CHAN e Space4235, un luogo di ricerca e produzione, aperto agli scambi e attento alla qualità dei lavori prodotti. In fondo
gli spazi coordinati da artisti hanno aperto una strada interessante e innovativa, inserendosi in un territorio sperimentale
spesso svincolato da obblighi istituzionali e dunque mettendo in discussione le tradizionali gerarchie di riferimento dell'arte
contemporanea. Genova è fatta anche di persone (molte) in gamba e che si stanno muovendo per realizzare qualcosa.
Quali proposte attivereste (o vorreste veder attivate) per il futuro a Genova?
In un futuro, speriamo non utopico, per chi lavora da anni con budget sempre risicatissimi vorremmo riconoscimenti almeno
in termini di luoghi. Il Comune di Genova, che ha moltissimi spazi inutilizzati, potrebbe affidarli a chi aprendoli contribuirebbe
a rendere vivace e stratificato un territorio spesso purtroppo ancora inesplorato. Per cominciare...
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