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L’affitto a canone concordato cerca il rilancio grazie al rinnovo degli accordi territoriali

  • –di Dario Aquaro
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A sedici anni dalla prima firma, la scorsa settimana è stato raggiunto a Milano il rinnovo dell’accordo sul canone concordato. A inizio giugno è arrivata una nuova intesa anche a Napoli, dove il testo definito dalle associazioni di inquilini e proprietari risaliva al 2003. E al 2003 era fermo anche l'accordo di Ancona, che ha visto il rinnovo entrare in vigore lo scorso gennaio. Sono alcuni esempi di capoluoghi regionali che provano a rivitalizzare uno strumento – quello della locazione a costi convenzionati – a lunghi tratti sottovalutato. Ma da Pesaro a Pavia, da Brescia a Benevento, sono diversi i Comuni che negli ultimi sette mesi, raccontano gli addetti ai lavori, hanno proceduto a svecchiare gli accordi.

In alcuni casi si è così giunti alla terza o quarta “generazione”. Anche oltre se guardiamo ai più virtuosi come Bologna, che in tanti additano a modello perché evidenzia una quota di contratti concordati pari a circa il 70%: vero, non ci sono dati ufficiali, ma il riscontro degli operatori coinvolti ruota intorno a valori simili (Tecnocasa parla ad esempio del 69,3% a fine 2014). Più in generale, sempre secondo l'Ufficio Studi Tecnocasa, nel secondo semestre dello scorso anno, tra le varie tipologie di contratti di locazione, il canone concordato ha pesato per il 15,3%, rispetto al 14,7% dello stesso periodo 2013.

Come dare ulteriore spinta? Al successo della formula concorrono diversi fattori. L’accordo in sé non basta, perché va poi monitorato di continuo, rivisto rispetto all’andamento del mercato locativo libero, dello sviluppo cittadino e della situazione economica delle famiglie. E i contratti vanno sostenuti con incentivi (leggi: aliquota Imu/Tasi agevolata) e strumenti di tutela contro i ritardi nei pagamenti.

L’accordo è certo il primo fondamentale passo, per definire livelli di canone (del 20-30% inferiori) che risultino appetibili, se incrociati con le agevolazioni fiscali (vedi Casa24 Plus del 15 gennaio 2015). Il testo parte da un “canovaccio” indicato dal Dm 30 dicembre 2002, ma sta alle parti renderlo equilibrato, con differenze studiate in base a zone, caratteristiche dell’immobile e servizi, disegnando fasce di oscillazione dei canoni coerenti e realistiche. Da qui la manutenzione (e l'evoluzione) continua degli accordi. Perché altrimenti anche l’opportunità della cedolare secca al 10% può essere insufficiente.

Oltre a spingere al tavolo le associazioni di inquilini e proprietari, i Comuni giocano però un ruolo importante anche dal punto di vista fiscale. Dal 2012, con l’arrivo dell’Imu (che ha aumentato notevolmente il conto della vecchia Ici) e l’aggiunta della Tasi, le abitazioni locate a persone fisiche hanno sopportato un aumento del carico d’imposta di 1,4 miliardi (vedi Il Sole24Ore del 20 aprile 2015). Spesso nella transizione alla nuova imposta si sono perse per strada o sono diminuite le agevolazioni previste per il concordato. In compenso la cedolare, come già accennato , per i canoni concordati è stata ribassata al 10% (fino al 2017, salvo sorprese, poi tornerà al 15%, aliquota comunque agevolata rispetto al 21% dei contratti liberi). Un fattore, concordano gli operatori, collegato al trend di crescita dell’affitto concordato. Ma numeri ufficiali non ce ne sono ancora. E comunque affinché l’opzione sia davvero conveniente non si può prescidere dall’intreccio con i valori dell’imposta municipale. A Milano – dove i contratti convenzionati prima del nuovo accordo erano ridotti a poche eccezioni – l’aliquota Imu agevolata al 6,5 per mille (al posto del 9,6) potrà funzionare da leva. «La cedolare al 10% o l’ulteriore abbattimento del 30% del reddito imponibile Irpef spesso non sono sufficienti a garantire in assoluto la convenienza, perché compensati da un aumento della tassazione locale – lamenta il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa – e vengono considerate agevolate aliquote all’8 o 9 per mille, al di sopra del massimo esistente fino a qualche anno fa, oltretutto con una base imponibile aumentata del 60% per effetto della variazione del moltiplicatore arrivata nel 2012».

Osservando le delibere pubblicate sul sito delle Finanze, emergono ad esempio gli sforzi dei comuni sulle aliquote Imu/Tasi di Cagliari, Verona (al 6,6), Vicenza (4,8), Bergamo (6), Livorno (5,3), Modena (6,4). Ma anche, e qui in senso negativo, l’aumento di Bologna che nel 2015 ha portato al 10,6 per mille l’aliquota che l'anno scorso era al 7,6. «A perderci, a parità di favori dell’imposta, sono in ogni caso gli immobili di basso valore e con rendite catastali alte: un nodo che non sarà risolto fino alla riforma del Catasto. Intanto, quindi – commenta il segretario generale del Sunia, Daniele Barbieri – il ruolo dei Comuni è importante per incentivare i contratti, non solo con agevolazioni fiscali, ma anche con garanzie contro le difficoltà nel pagamento del canone. E affinché gli accordi siano regolarmente monitorati e corretti in corsa».

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