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Poco estero per i fondi italiani

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Poco estero per i fondi italiani

  • –di Madela Canepa
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L’ultima operazione approdata alle cronache del settore è stato il primo investimento all’estero di Fabrica Sgr. Come gestore del fondo Cicerone la società ha acquistato un immobile (headquarter Waterstones) nella West end di Londra per 92 milioni di sterline.

Dopo le numerose operazioni condotte negli ultimi mesi da investitori stranieri sul mercato italiano, qualcosa prende corpo anche nel senso opposto e con risorse nazionali, in questo caso della Cassa Forense che con Fabrica ha sottoscritto il fondo dedicato Cicerone all’inizio del 2014.

È, per il momento, un caso che si verifica all’interno di una vera e propria nicchia di mercato. Se infatti le operazioni citate fanno parte di una marcata tendenza in atto a livello globale verso l’investimento cross border, e particolarmente concentrata sulla piazza europea come tutti gli ultimi report riportano, l’Italia risulta ancora fuori dal “giro”.

Per diversi motivi i suoi investitori guardano ancora poco fuori dai confini domestici. «La quota di investimenti cross border prodotta dai fondi nazionali ammonta a poco più dell’1% contro il 10% della media europea - conferma Paola Gianasso, vicepresidente di Scenari Immobiliari -. Ma vorrei premettere che se l’investimento da fuori è aumentato (perché da noi i prezzi sono calati durante la crisi immobiliare e i rendimenti sono più interessanti che in altri Paesi, dove risultano compressi), va anche notato che quei 7,8 miliardi di euro di volumi di investimento registrati in Italia nel 2015 hanno rappresentato solo il 3% del totale mosso in Europa». Vero è però che se si guarda al solo segmento commercial (residenziale escluso) la componente di investimenti esteri ha pesato oltre il 70% sul totale dei volumi realizzati in Italia.

Una nicchia, quella degli investimenti oltrefrontiera, popolata da nomi che oltre a Fabrica include, tra gli altri, Bnp Paribas, che ha in portafogli immobili messi a reddito fuori dai confini italiani, Amundi Re con un fondo quotato da 212 milioni di euro (closing fine anno) e investito prevalentemente nel non residenziale in alcuni Paesi europei o ancora Serenissima Sgr con il fondo Real Emerging (in precedenza gestione Est Capital), riservato a investitori qualificati (62,8 milioni) con portafoglio direzionale in Germania e Croazia.

Anche se - va ricordato - con i fondi dedicati i grandi pittori della storia dell’arte italiana, Valter Mainetti con Sorgente Group (di cui è fondatore e ad) che oggi ha un patrimonio immobiliare complessivo di cinque miliardi di euro, è stato un precursore dell’investimento fuori dai confini nazionali. Dal Chrysler Building (2005) al Flatiron (2006) a New York e, più recentemente il Fine arts building di Los Angeles, o il Clock Tower Building di Santa Monica, ha sempre dato un ampio raggio d’azione alle sue attività di investimento, oltre che un particolare taglio legato agli immobili trophy.

Quali motivi rendono gli operatori e investitori italiani ancora troppo stanziali negli investimenti? Determinante, secondo Paola Gianasso, il tema legato alla portata dei veicoli: «Da noi la dimensione media di un fondo si aggira sui 120milioni di euro – precisa la vicepresidente di Scenari Immobiliari -. Al di fuori dei nostri confini, ad esempio in Germania e Olanda, la media arriva a due miliardi. Il fondo tedesco più ricco a 12 miliardi». Una maggior ampiezza delle risorse consente infatti e, anzi impone, una diversificazione anche geografica. Opzione importante perché apre all’investitore una più vasta e varia gamma di opportunità e quindi di riuscita.

Ma non solo, l’investimento su altri mercati comporta una visione e gestione più complessa, come spiegano dagli uffici di Serenissima: «Operare sui mercati esteri impone dinamicità e flessibilità nelle strategie di gestione, consente un arricchimento e una diversificazione dell’offerta di portafoglio agli investitori e impone periodici aggiornamenti e adattamenti alle macro variazioni dei settori finanziari che, in un’ottica di medio-lungo periodo, si rivelano determinanti per performare in un mercato sempre più competitivo e aggregativo».

Potremmo comunque essere alla vigilia di una svolta del mercato verso il cross border anche in Italia.

Sarà forse d’aiuto il boom di investimenti globali verso il settore immobiliare previsto nel 2016 da Inrev, l’Associazione europea che riunisce i veicoli di investimento nel real estate non quotati. Secondo gli ultimi dati elaborati, nel corso di questo anno, gli investitori, e in particolare fondi pensionistici e previdenziali con l’11% di diversificazione nel settore immobiliare, dirotteranno un minimo di 48 miliardi di euro verso il real estate, circa il 13% in più rispetto a quanto registrato nel 2015. Il dato, dalle previsioni, è destinato ad arrivare al 53,3% nei prossimi due anni. Da noi, però, bisogna tenere conto del fatto che molti fondi pensione sono sbilanciati per l’eccessivo investimento sul real estate e dovranno rivedere il portafoglio.

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