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Cdp finanzia 275 progetti di social housing, ma l’Italia è ancora in ritardo

L’emergenza abitativa delle famiglie italiane aumenta come una valanga che incorpora nuova massa scivolando dalla montagna. La crisi economica ha peggiorato esponenzialmente una situazione già preoccupante dieci anni fa. Nonostante i passi in avanti in termini di soggetti in grado di fornire risposte all’emergenza, affiancando all’edilizia residenziale pubblica il nuovo settore dei fondi immobiliari e il no-profit abitativo, il divario con gli altri Paesi europei resta preoccupante.

LE FAMIGLIE E IL PROBLEMA CASA IN ITALIA
L’emergenza abitativa in numeri. (Fonte: RESHAPE (Redesigning Social Housing against Poverty in Europe) della Libera Università di Bolzano)

Il progetto di ricerca Reshape
A riportare il settore sotto i riflettori è stata la conferenza “Social housing in contemporary Europe” che si è svolta a Bolzano la scorsa settimana, l’evento scientifico conclusivo del progetto di ricerca “Reshape” (Redesigning social housing against poverty in Europe). Il progetto della facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano, coordinato da Dmitri Boreiko e Teresio Poggio, ha fatto il punto della situazione delle emergenze abitative e delle relative soluzioni in Europa e in Italia, prendendo in considerazione l’edilizia residenziale pubblica tradizionale (Erp) che tuttora copre la quasi interezza del settore dell’affitto sociale, il nuovo settore dei fondi immobiliari a capitale misto pubblico-privato lanciato con il Piano Casa del 2008 e il settore emergente del no-profit in campo abitativo. Ne emerge un quadro allarmante.

I dati del disagio
Nel 2015 (ultimo aggiornamento) in Italia c’erano, secondo la ricerca, almeno 50mila persone senza dimora. Il nostro resta comunque un Paese peculiare a livello europeo, dove la proprietà della casa riesce a essere una roccaforte contro la povertà estrema: nel 2014 il 68% delle famiglie italiane viveva in un alloggio di proprietà, il 16% in affitto, l’11% in un alloggio in uso gratuito o in usufrutto, quasi sempre messo a disposizione dalla famiglia, il 5% in affitto in un alloggio messo a disposizione dal settore pubblico. Un’attenzione particolare merita la fascia delle famiglie a basso reddito, definite come quelle dove vive il 20% degli individui con il reddito individuale equivalente più basso (quintile più basso). Risulta che il 34% delle famiglie a basso reddito è in affitto nel settore privato e solo il 18% in quello pubblico o sociale. La sostenibilità dei canoni di locazione è in costante peggioramento, tanto che secondo la ricerca il 74% delle famiglie a basso reddito spende più del 20% delle proprie entrate per il solo affitto: erano meno del 50% fino al 2000. La bassa sostenibilità degli affitti di mercato emerge anche dal dato relativo agli sfratti, tanto che quelli per morosità erano 69.250 nel 2014, contro i 33.768 de 2005, vale a dire un raddoppio, e oltre, in meno di 10 anni.

Da una ricerca del Cresme per il periodo 2015-2024 si stima un aumento a 108mila famiglie nella fascia di reddito inferiore ai 18mila euro, altre 170mila si collocheranno fra i 18mila e 34mila euro. Solo il 20% (90mila nuclei) della domanda futura potrà accedere al libero mercato. Il 30-35% avrà difficoltà nell’affrontare una compravendita, il 40-45% si rivolgerà all’affitto o all’edilizia convenzionata.

Gli sviluppi in corso
L’edilizia residenziale pubblica, o Erp, conta in Italia (dati al 2015) circa 742mila appartamenti affittati nel settore da parte delle organizzazioni aderenti a Federcasa. Altri 50mila alloggi sono in corso di privatizzazione e sono circa 650mila le famiglie in graduatoria utile per una casa popolare. Secondo la ricerca, gli affitti degli assegnatari rappresentano la principale entrata delle organizzazioni di edilizia residenziale pubblica, ma il 30% degli affitti viene versato in tasse. Il trattamento fiscale degli enti Erp che si dedicano all’affitto sociale è infatti incredibilmente più oneroso di quello dei proprietari privati di casa. All’Erp si affiancano almeno un centinaio di organizzazioni no-profit oggi attive nel settore dell’alloggio sociale, con vari modelli di intervento, ma prevalentemente concentrate nel nord-Italia.

Il sistema integrato dei fondi immobiliari è sicuramente il passo in avanti più significativo sul fronte della soluzione dei problemi di emergenza abitativa, soprattutto per quanto riguarda quelle fasce di popolazione che non sono esattamente nelle condizioni i ricevere alloggi pubblici gratuiti ma non possono nemmeno permettersi di far fronte agli affitti di mercato delle città.

Il sistema integrato dei fondi è costituito da veicoli di investimento che operano per lo più a livello regionale, ma sotto la regia di Cdp (Cassa depositi e prestiti) grazie al Fondo immobiliare per l'abitare (Fia) che partecipa i veicoli di investimento locali.

Come sottolinea un recente report di Reag Duff & Phelps, secondo lo studio di Jp Morgan “Global Impact Investing Network” che analizza l'impatto di alcuni programmi di investimento, e Fondazione Housing Sociale, il Sistema integrato di fondi , di cui il Fia è investitore di riferimento, si colloca al terzo posto mondiale in ordine di dimensione, dopo due programmi di green energy, di cui il primo promosso dalla World Bank. Sempre secondo lo studio di Jp Morgan, il settore dell'impact investing in Italia si trova nella fase iniziale del proprio sviluppo e, oltre all'housing, opera in altre aree ad alto potenziale: salute, disabilità, inclusione sociale, famiglia.

Status quo e prospettive
I dati più recenti di Cdp evidenziano che, a oggi, il Consiglio di Cdpi Sgr ha assunto delibere d'investimento per l'integrale utilizzo del patrimonio del Fia (2 miliardi di euro), in 31 fondi locali (di cui 11 di tipo “fondi progetto” e 20 “piattaforme”), promossi e gestiti da 9 Sgr. Tutte le delibere, complessivamente, si riferiscono a 275 progetti che a vita intera (data di ultimazione 2020) porteranno sul mercato 20mila alloggi sociali e 8.500 posti letto in residenze temporanee e studentesche, oltre a servizi locali e negozi di vicinato. Più in dettaglio, 28 fondi locali sono stati sottoscritti per un ammontare complessivo di 1.472 milioni di euro; sono stati erogati 662 milioni di euro. Il mix funzionale degli investimenti deliberati vede un'assoluta prevalenza di alloggi sociali e residenze temporanee – il 90% del totale - rispetto ad altre destinazioni d'uso, quali residenze a libero mercato (3%), commercio di vicinato (4%), servizi (3%). Il 66% degli alloggi sociali sono destinati alla locazione di medio-lungo termine, il 18% all'affitto-riscatto e il 16% alla vendita a prezzi convenzionati con i Comuni. Il disequilibrio geografico è piuttosto evidente, in quanto il 68% degli investimenti deliberati riguarda le regioni del nord (68%) e del centro Italia (18%), mentre solo il 7% è al sud.

Nel corso del 2016 è stata avviata l'operatività dei primi fondi operanti a Roma e nel Lazio, portando così a 28 i fondi locali pienamente operativi su tutto il territorio nazionale: si tratta del Fondo Housing Cooperativo Roma, gestito da Investire Sgr; il Fondo Estia Social Housing, gestito da Prelios Sgr; il Fondo Roma Santa Palomba SH, gestito da Idea Fimit Sgr. Nel corso dell'anno sono stati acquisiti ed avviati dai fondi locali ulteriori 25 interventi per circa 2.700 alloggi sociali e 486 milioni di euro di investimento. Sono poi stati completati otto interventi per circa 620 alloggi sociali, corrispondenti agli ultimi lotti di Milano Via Voltri (319 alloggi complessivi), ai cantieri di Asti Ex Piazza d'Armi (72 alloggi), Alba (38 alloggi), Parma Chiavari Lotto 4 (40 alloggi), 80 p.l. nella residenze temporanea di Meldola (FC), 4 interventi del Fondo HS Trentino per circa 150 alloggi (Trento Clarina, Pergine, Rovereto, Riva del Garda). Proprio di questi giorni è l'avvio del progetto di social housing di Matera.

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