Per definizione, sono i territori che più dovrebbero raccontare l’identità di un luogo. Invece alcuni centri storici sono, oggi, nuove periferie: porzioni di territorio che perdono progressivamente abitanti, negozi, imprese e persino la sede delle principali istituzioni. Un’emorragia che ha colpito prima di tutto lo stock di patrimonio residenziale, inutilizzato per percentuali pari anche al 40%. Con perdite di valore stimabile (se proiettate sul territorio nazionale) in alcune decine di miliardi.
A fotografare il trend, di attualità nei giorni della legge cosiddetta salva-borghi, è una ricerca condotta da Ezio Micelli, docente di estimo presso l’Università Iuav di Venezia e Paola Pellegrini, docente di urbanistica in Cina, presso la Xi’an Jiaotong-Liverpool University e presentata in anteprima da Casa24. Sotto la lente d’ingrandimento dieci città ubicate fra Veneto, Lombardia, Friuli e Trentino (ma l’indagine si è già allargata anche a osservare cosa accade in Emilia Romagna e Toscana). Comuni di media grandezza (da 30mila a 200mila abitanti), tutti caratterizzati dalla presenza di un centro antico. L’osservazione, per avere un dato consolidato, è stata compiuta a partire da un’elaborazione dei censimenti Istat del 1991 e il 2011. Il risultato è un punto di vista alternativo al mito dell’incrollabile appeal delle old town. «I centri si spopolano», affermano gli autori della ricerca, che sarà pubblicata in modo integrale sulla rivista Territorio.
Solo nei principali comuni oggetto dell’indagine (Trento, Udine, Pordenone, Bassano del Grappa, Conegliano, Rovereto, Vicenza, Treviso, Mantova e Brescia) sono stati mappati 13.282 alloggi inutilizzati. Moltiplicati per una superficie media di 90 mq e un valore prudenziale unitario di 1.500 euro le “perdite” ammontano ad almeno 1,8 miliardi.
«Il paradosso è assistere all’abbandono di quelle porzioni di città che più di altre hanno goduto negli anni di investimenti della collettività – considera Micelli –. Non si tratta di un fenomeno che riguarda aree delimitate o specifici palazzi, ma che è diffuso in modo capillare e, per questo, è tanto più evidente e rilevante». Prendiamo il caso di Treviso. Nel periodo di tempo osservato, la percentuale degli alloggi inutilizzati è passata dal 21,3% al 41,8%. È cioè letteralmente raddoppiata. Addirittura maggiore il delta rilevato a Udine nella Ztl: si passa dal 15,7% al 37,9%. Lo stesso capita se ci spostiamo a Sud. Ad Arezzo, presa l'intera zona antica, si passa dal 12,5% al 20,7. «È vero – commenta Pellegrini – che nelle città esaminate il calo è anche demografico, ma con trend non paragonabili alle percentuali di unità vuote. Laddove l’abbandono è rimasto più contenuto, si è assistito a un aumento sensibile di stranieri. Così, ad esempio, a Brescia, dove la presenza di cittadini in arrivo dall’estero supera nel centro anche il 30%». Per ciò che riguarda le imprese, se in certe città aumenta il numero di attività, cala però (di quasi il 22%) quello di addetti coinvolti. Così come la quota di servizi: un effetto anche della dematerializzazione di banche e poste.
«Le cause sono molteplici . La difficoltà a ristrutturare un appartamento inserito in un palazzo storico secondo i desiderata degli utenti o la scarsa accessibilità sotto l’aspetto logistico. E ancora – prosegue Micelli – l’apertura indiscriminata di locali e l’iperspecializzazione del centro con attività che richiamano molto pubblico in fascia serale o nei fine settimana. Con conseguenti problemi di parcheggio e rumore».
Se dal 2011 ci spostiamo nell’attualità la situazione evolve ancora. «Ci sono territori in cui gli investimenti hanno dato ottimi risultati – commenta Francesco Bandarin, presidente dell’Ancsa, l’associazione nazionale centri storico-artistici e vicedirettore generale per la culturale dell’Unesco – mentre altri soffrono di più. Di certo, un cambiamento epocale è l’effetto di due fenomeni, che arrivano dall'estero e sono amplificati dalla rete. Mi riferisco ad app come Airbnb, e ai voli low cost. Due attori potentissimi che stanno rivoluzionando la situazione e che i comuni fanno fatica a governare, non avendo neppure strumenti adatti».
Gli effetti dello “spopolamento” dei centri storici iniziano a farsi sentire anche sul fronte più strettamente immobiliare: da Udine a Treviso, da Vicenza ad Arezzo, a fronte di un generale calo di tutte le quotazioni, il centro ha perso nell’ultimo anno più valore rispetto al semicentro (vedi grafico a lato). C’è anche da osservare che in città come Treviso la differenza fra le due zone è di 3.200 euro al mq contro 2.200: circa il 46%. A determinare l’abbandono è, dunque, anche la progressiva perdita di potere d’acquisto da parte del ceto medio, un trend riscontrabile anche a livello globale, come tra l’altro messo in luce dall’articolo “Se le città perdono i ceti medi” pubblicato il 20 settembre sul Sole 24 Ore. «Se un tempo si ambiva maggiormente a vivere nei centri storici – spiega Carlo Giordano, ad di immobiliare.it – oggi chi compra casa preferisce tagli di immobili più moderni, a costi più contenuti e possibilmente ben collegati con i mezzi pubblici. Una tipologia di offerta che si reperisce con maggiore facilità nelle zone del semicentro o della prima periferia. Inoltre appartamenti e stabili dentro la cerchia del centro sono spesso vincolati dal loro valore storico e artistico che limita eventuali progetti di ristrutturazione e che li rende meno appetibili per l’acquirente medio».
Per arrivare a un’analisi che dia ai comuni strumenti di governance occorre, adesso, allargare il punto di osservazione. Ideale evoluzione del lavoro compiuto da Micelli e Pellegrini sarà una ricerca che l’Ancsa insieme al Cresme sta sviluppando su una mappatura su 109 città in Italia: i risultati saranno presentati al Governo entro fine anno.
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