La stampa 3D si evolve per il mercato della casa e si prepara a rivoluzionare i cantieri e il prodotto finale. Un cambio che potrebbe segnare un’epoca in edilizia. La tecnologia si basa sull’impiego di “robot-muratori” e sulla sostituzione delle testine tradizionali con estrusori agganciati a bracci meccanici. Come è tipico della stampa 3D, si è così in grado di riprodurre qualsiasi forma, a partire da un progetto e da diversi tipi di materiale.
Blocchi, mattoni, componenti: tutto può essere prodotto in sito e poi usato per la costruzione. Ma è possibile anche la posa diretta del perimetro delle pareti strutturali della casa. Diversi i vantaggi: tempi e costi competitivi rispetto all’edilizia tradizionale; uso di materiali riciclati o riciclabili; soprattutto, una migliore qualità dei processi costruttivi. Il risultato sono fabbricati sostenibili e sicuri, personalizzabili nelle forme architettoniche, connotati da involucri continui ad alte prestazioni sia sotto l’aspetto dell’isolamento termo-acustico che della resistenza antisismica.
La stampa 3D delle case è già una realtà concreta. La prima casa davvero abitabile realizzata completamente con questa tecnologia risale alla primavera scorsa ed è stata realizzata ad Austin, in Texas, da Icon ( specializzata in costruzioni robotiche) su progetto dell’organizzazione benefica New Story. La stampante impiegata si chiama Vulcan e realizza i muri tramite una sovrapposizione di strati di cemento. Un doppio muro con intercapedine per realizzare superfici fino a 800 mq. In Olanda è atteso per il 2019 il primo lotto del complesso residenziale Milestone di Eindhoven, un piccolo quartiere 3D realizzato in una speciale miscela di calcestruzzo e peculiare nelle forme, che riproducono case realizzate nella pietra. Il progetto è di Houben/Van Mierlo con Witteveen+Bosche, Università e un pool di aziende e gestori immobiliari.
La tecnologia, insomma corre rapida e viene divulgata attraverso sperimentazioni che proiettano in visioni future. Dal caso dell’azienda russa Apis Cor, che con una stampante 3D ha costruito lo scorso anno un’abitazione completa di 37 mq con meno di 10mila dollari e in meno di 24 ore (durabilità prevista, 175 anni). Alla sperimentazione di Massimiliano Locatelli, co-fondatore di Cls Architetti che – in collaborazione con Italcementi, Arup e Cybe – ha realizzato a Milano all'ultimo Fuorisalone, a pochi passi dal Duomo, una stampa 3D applicata all’edilizia (il progettista ha alle spalle una esperienza di lungo corso in Arabia Saudita sul 3D e ha annunciato che sta lavorando a una villa in Costa Smeralda con questa tecnologia). Fino alla suggestione dell’ingegnere pisano Enrico Dini, che ha proposto (ormai qualche tempo fa) l’uso della stampa 3D per realizzare strutture abitabili destinate al suolo lunare.
Così anche in Italia si stanno facendo passi da gigante. A Massa Lombarda (Ravenna), ha preso vita da poche settimane il prototipo Gaia: la nuova tecnologia Crane Wasp, dell’omonima azienda produttrice di stampanti, si è messa a servizio della sostenibilità. Il modulo è in terra cruda e materiali di scarto della filiera del riso: tutte le componenti sono state implementate grazie alla collaborazione con RiceHouse, startup italiana di Tiziana Monterisi, che ha curato anche il progetto bioclimatico della casa, priva di riscaldamento. «Molti privati ci hanno contattato per chiedere la casa in terra cruda – spiega Massimo Moretti, tecnico elettronico e ideatore dell’azienda che produce le stampanti –. In Italia ci sono ancora ostacoli normativi sull’impiego strutturale di alcune materie, ma i nostri dispositivi possono usare qualsiasi materiale, anche se il progetto punta sull’autosufficienza e sull’approvvigionamento a km zero». Non è invece, come si potrebbe pensare, una questione di costi: il prezzo di un buon macchinario è pari a quello di un camion.
Ma se l’innovazione non manca, perché non viene usata ancora in modo diffuso? Per la poca conoscenza dello strumento. Ciò su cui occorre investire è l’informazione e la formazione di tutti: progettisti, imprese, committenti e filiera. «La difficoltà è culturale, soprattutto in un contesto accademico dove gli ambiti disciplinari sono spesso desueti e fuori dai network internazionali», riflette Paolo Cascone, direttore scientifico di Digital Construction e che a Parigi ha fondato 10 anni fa COdesignLab, laboratorio di ricerca per costruzioni intelligenti. Con Digital Mater(i)a – programma internazionale triennale in scena a Matera, la capitale della cultura del 2019 – Cascone sta portando avanti una serie di attività educative applicate alla produzione digitale. Prototipi che mettono insieme design avanzato e architettura ecologica. Nella diffusione del messaggio, inoltre, bisogna prestare tanta attenzione a non cadere in generalizzazioni: «Il settore ha bisogno di opportunità concrete per sperimentare il processo. Ma – puntualizza – è sbagliato parlare solo di costi e tempi ridotti. Occorre invece sottolineare la migliore qualità dei processi costruttivi. La differenza la fa un processo integrato che mette la cultura progettuale al primo posto per un uso intelligente delle nuove tecnologie di fabbricazione digitale».
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