La sontuosa mostra che Parigi, fino al 10 febbraio 2019, dedica al genio italiano di Gio Ponti non solo dimostra con quanta passione e competenza sia stata pensata e realizzata (grazie al contributo fondamentale di Salvatore Licitra, erede, custode e inarrivabile conoscitore del mondo del nonno, che la firma, da curatore, insieme a Olivier Gabet, Dominique Forest e Sophie Bouilhet-Dumas); non solo esemplifica la incredibile e quasi illimitata iridescenza della sua produzione (praticamente l’«archi-designer», così nel sottotitolo del Musée des Arts Décoratifs, si era provato in tutto: ceramica, tessili, argenteria, arredamento, metallo, costruzioni, editoria, insomma dalle navi alle città, dai microappartamenti alle ville, dalle superfici grandi alle decorazioni più minute), ma ha una valenza in più, e forse la più importante.
Paradossalmente, infatti, non lo “musealizza” – e proprio nel momento nel quale ne dichiara lo statuto di indiscutibile maestro del Novecento (finalmente, verrebbe da dire, ché troppo si è aspettato, almeno qui in Italia, a riconoscerlo come tale...) –, ma lo “attualizza”, facendo vedere, plasticamente, quanto siano contemporanee molte delle sue creazioni e quanto fosse avveniristica la sua capacità di visione: soluzioni di arredamento e design che non sono dunque confinate a uno specifico gusto, cronologicamente fissato ma, al contrario, si adattano e “rendono” ancora oggi, quando le tecnologie sono incomparabili a quelle dei suoi anni, quando c’è una sensibilità diversa sui materiali, quando lo stile dell’abitare e del vivere presuppongono nuovi modelli. È proprio questo, però, che sono i classici: per quanto sappiamo che Mozart, o Dante, sono vissuti secoli fa, le loro opere ci parlano oggi. Per Gio Ponti è lo stesso, ed è molto chiaro, a rivedere in un colpo solo la sua produzione radunata a due passi dal Louvre, che è stato prima di tutto un artista, la cui opera, il cui sguardo, è stato “prestato”, di volta in volta, alle discipline (architettura, design, editoria) nelle quali si è cimentato.
E, infatti, tra gli sponsor principali dell’esposizione (notevole l’allestimento degli oltre 500 pezzi creato dallo studio Wilmotte & Associés, con il progetto grafico di Italo Lupi per la segnaletica, e uno strepitoso finale che visualizza alcuni ambienti, ufficio, villa, casa, “come erano”) c’è Molteni&C, l’azienda parte del Gruppo Molteni (insieme a Dada, UniFor e Citterio), che già dal 2010, ha rinnovato l’attenzione per i maestri dell’architettura e del design con il progetto di riedizione di arredi di Gio Ponti e che figura, tra l’altro, come prestatore, con alcuni pezzi originali e rari che arrivano dalla collezione del Molteni Museum. È che la ditta di Giussano, dopo l’accordo siglato con gli Eredi Ponti, che prevede l’esclusiva mondiale per la riedizione e la commercializzazione di tutti gli arredi progettati da Gio Ponti (fatta eccezione per i diritti ceduti ad altri produttori: tipicamente le iconiche sedie Leggera e Superleggera e qualche altra seduta, rieditate da Cassina) sta rinverdendo i fasti e investendo in una collezione di arredi riferiti, in alcuni casi, a modelli ideati da Ponti come pezzi unici o in piccola serie. Ricerca, selezione, studio dei prototipi: con questo metodo la collezione, realizzata in collaborazione con i Gio Ponti Archives e con la direzione artistica dello Studio Cerri & Associati, si è sviluppata in una serie di pezzi molto belli che comprende mobili e complementi disegnati da Ponti tra il 1935 e gli anni 70. Ogni anno nuovi elementi: oggi il “catalogo” comprende già 14 arredi, in 21 varianti.
C’è, per dire, tra gli ultimi arrivati, l’importante tavolo originariamente progettato come tavolo da conferenze per l’auditorium del Time&Life Building di New York del 1959, riproposto sia in versione originale che in un legno dalle tonalità scure (un frassino tinto nero), che richiede, ovviamente, uno spazio adeguato; ma si può ricorrere alla più ragionevoli dimensioni e costi, per esempio, della sedia Montecatini, disegnata nel 1935 per il primo Palazzo Montecatini di Milano (di cui Ponti disegnò ogni singolo elemento): alluminio lucidato o con sedile e schienale rivestiti in cuoio. E che dire delle poltrone. Tra queste, i modelli disegnati tra il 1951 e il 1956 per la casa Ponti in via Dezza, a Milano, o quelle per navi da crociera e transatlantici, o, ancora, per Villa Planchart a Caracas (due collezionisti cui fece casa e arredo da cima a fondo). E le librerie (bellissima quella per via Dezza), i tappeti, le cornici, i tavolini: ecco il tondo, piano in cristallo e gambe e griglia metallica; quello triangolare, in legno massello di palissandro con piedi in ottone satinato e piano in vetro, disegnato negli anni 50 per l’azienda M. Singer&Sons, una delle più importanti di New York. L’epoca di Mad Men, della rinascita italiana e forse la più matura di Ponti, titano che non finisce di suggerire e ispirare la nostra vita quotidiana. La “bella vita”, dove si fondono in armonia forme, idee, cuore e oggetti concreti. Il suo esempio ci dice una sola cosa: si può fare.
© Riproduzione riservata