Un proprietario che possiede due appartamenti da mettere a reddito, uno a Milano e uno in Sardegna, se volesse pubblicizzarli su Airbnb dovrebbe dotarsi per il primo del codice «Cir» e per il secondo del codice «Iun», seguendo due pratiche amministrative molto diverse tra loro (e non semplicissime). È questo, ad esempio, un paradosso esemplare che si determina applicando le differenti leggi regionali che impattano sulle locazioni turistiche.
Dalla Calabria alla Valle D’Aosta, quasi tutte le Regioni sono intervenute negli ultimi mesi per normare (e controllare) il fenomeno degli affitti brevi, esploso soprattutto nelle località di mare o montagna e nelle grandi città, grazie alla diffusione di portali web come Airbnb, Casavacanze, Booking e molti altri. Il problema è che ognuna, essendo il turismo una competenza regionale in base al Titolo V della Costituzione, lo sta facendo in modo autonomo e imponendo ai proprietari privati regole molto diverse.
A richiedere un codice identificativo degli immobili commercializzati tramite annunci di affitto breve (online o meno), al fine di mappare e monitorare il fenomeno, sono ad esempio le leggi regionali della Sardegna (codice Identificativo unico numerico, in breve «Iun»), della Lombardia (Codice identificativo di riferiemento, detto «Cir»), della Toscana (più semplicemente «Codice identificativo» da attribuire ad ogni alloggio) e per ultima anche della Puglia (Codice identificativo di struttura, «Cis» appunto, ma non ancora operativo perché in attesa della delibera attuativa).
A sancire la legittimità della richiesta da parte delle Regioni è stata la Corte costituzionale dell’11 aprile scorso (sentenza 84/2019) che ha bocciato il ricorso contro la legge regionale lombarda 7/2018 che impone il Cir, ritenuto un adempimento amministrativo che non invade «la libertà negoziale e la sfera contrattuale, che restano disciplinate dal diritto privato».
Il proprietario che affitta senza esporre il codice può essere sanzionato: in Lombardia la multa va da 500 a 2.500 euro per ogni attività pubblicizzata senza riportare il Cir (o che lo riporta in maniera errata o ingannevole); in Puglia - quando verrà approvata la delibera di giunta attuativa della legge regionale 57/2018 - l'annuncio senza «Cis» rischierà da un minimo di 250 a una massimo di 1.500 euro, perché vorrà dire che l'appartamento non è iscritto al «Registro regionale delle strutture ricettive non alberghiere».
La mappa dei differenti codici identitificativi, oppure dei registri regionali delle unità adibite a locazione turistica,
non solo fa impazzire i proprietari che intendono locare i propri immobili rispettando tutte le regole (oltre a quelle fiscali
e in materia di sicurezza), ma soprattutto riflette la varietà di adempimenti richiesti ai proprietari in base alle politiche regionali.
Quasi ovunque le leggi regionali richiedono una comunicazione diretta al Comune territorialmente competente per ogni alloggio
da locare. La Toscana, ad esempio, ha approvato anche un modello di comunicazione (allegato A alla delibera di giunta 1267 del 19 novembre 2018)
da inviare all'ente locale entro trenta giorni dalla stipula del primo contratto di locazione, in cui vanno indicati il periodo
in cui si intende locare l'alloggio, il numero di posti letto e i siti web utilizzati. La Sardegna ha introdotto anche una
sanzione, da 200 a mille euro in caso di mancata comununicazione. La stessa procedura è richiesta anche da due progetti di
legge, recentemente approvati in Veneto e in Valle d’Aosta.
Il nodo che ancora accende la polemica tra Regioni e associazioni dei proprietari, ancora una volta in Lombardia, è la differenza tra gli adempimenti richiesti agli alloggi gestiti come strutture ricettive e quelli semplicemente locati, in base all'articolo 1571 del Codice civile. Tanto che la delibera di giunta lombarda 280 del 28 giugno scorso, attuativa della legge regionale 27/2015, è stata impugnata davanti al Tar. «È illegittimo - afferma Fabio Diaferia, presidente della Pro.Loca.Tur - assimilare le locazioni turistiche alle Case e appartamenti per vacanza non imprenditoriali, per cui è prevista una gestione e organizzazione dell'attività e l'eventuale fornitura di servizi».
Al momento, infatti, in Lombardia, per ottenere il Cir, è necessario essere assimiliati a queste strutture ricettive anche se non si fanno le pulizie né si cambia la biancheria. «Non è stato predisposto, come nelle altre Regioni, un modulo di comunicazione al Comune - aggiunge Diaferia - che preveda la semplice locazione breve». Oltretutto la pratica è necessaria per ottenere il Cir, che viene rilasciato con procedura amministrativa in un secondo momento dalla Provincia o Città metropolitana, previo accreditamento al portale Turismo 5. Insomma, un bel percorso ad ostacoli per chi possiede più immobili sul territorio nazionale e intende puntare sugli affitti brevi.
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