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Quei dieci motivi per cui l'Italia non deve temere dalle nuove tensioni sui debiti sovrani

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2010 alle ore 08:59.

Nel pieno delle nuove tensioni sui debiti sovrani alcune superficiali e irresponsabili banalizzazioni mediatiche sono arrivate al punto di prefigurare un rischio Italia. Ma vi sono almeno dieci buone ragioni, fondate su indicatori oggettivi, per cui gli italiani non dovrebbero cadere per l'ennesima volta nella trappola dell'autolesionismo che è loro familiare. E ve ne sono altrettante, nonostante il brutto clima che c'è in giro, che dovrebbero portare alla conclusione che in base ai fondamentali l'Europa e l'euro non siano assolutamente a rischio.

A meno che l'Europa stessa non decida di farsi del male da sola (anche rappresentando confusamente ai mercati il suo effettivo stato di salute), facendo così un bel regalo di Natale ai super indebitati Stati Uniti e al dollaro.

1. Ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Questo è l'indicatore più importante per capire la sostenibilità finanziaria di un'economia nazionale, non il Pil. Le famiglie sono l'unico "polmone" finanziario delle economie. Infatti, le imprese e i governi hanno normalmente dei debiti finanziari mentre le banche sono dei semplici intermediari i cui bilanci dipendono dal modo, prudente o sconsiderato, con cui prestano denaro agli altri. Tutti, dalla Commissione europea (alle prese con il ridisegno del Patto di stabilità) alla Bce, dagli economisti agli opinionisti, dagli investitori agli speculatori, farebbero bene a capirlo.
L'Irlanda è "saltata" non perché il suo Pil non brillasse o il suo debito pubblico fosse alto (era anzi tra i più bassi) ma perché la ricchezza delle famiglie e con essa il sistema bancario dell'Irlanda sono crollati sotto il peso dei debiti privati e dello scoppio della bolla degli asset immobiliari alimentata dalle banche stesse. La Grecia è "saltata" non perché non riesce a pagare il proprio debito pubblico con il Pil (nessun governo, tra l'altro, ha mai pagato i propri debiti con il Pil) ma perché la ricchezza finanziaria netta delle famiglie greche è ormai talmente bassa da essere addirittura la metà del Pil.
Se anche volesse, la Grecia oggi non potrebbe nemmeno introdurre un'imposta patrimoniale per risanare i propri conti statali perché il patrimonio dei greci si è semplicemente dissolto e non c'è più nulla da tassare ma solo spesa pubblica da tagliare. L'Italia ha invece il più alto rapporto tra ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil in Europa, di gran lunga davanti a Francia e Germania. Ma molti (anche in Italia) lo ignorano.

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2. Debito pubblico estero. Il vero tallone d'Achille dei paesi dell'Euroarea in questo momento non è tanto il debito pubblico complessivo ma quello estero, che è in balia degli umori dei mercati e sotto il tiro della speculazione. Pochi forse sanno che a fine giugno 2010 il debito pubblico estero italiano era di 837 miliardi di euro, inferiore a quello della Germania (978 miliardi) e della Francia (1.037 miliardi). La domanda vera allora è: nel caso limite (e sottolineiamo limite più volte) in cui gli investitori stranieri non sottoscrivessero più il debito pubblico estero, i paesi dell'Euroarea possiedono le risorse finanziarie interne sufficienti per far fronte a una simile eventualità? L'unico cavaliere bianco che in ultima istanza può venire in soccorso ai governi è il sopracitato stock di ricchezza finanziaria netta delle famiglie, non il Pil che è solo un flusso già allocato pressoché integralmente in domanda interna ed estera nell'anno stesso in cui viene generato. In base alla ricchezza, su sette paesi analizzati, solo Irlanda e Grecia non ce la farebbero a evitare il default. Persino Spagna e Portogallo, pur avendo qualche banca pericolante e una crisi economica interna gravissima, che per diversi anni determinerà un netto peggioramento delle condizioni di vita dei loro abitanti, dispongono di uno stock di ricchezza finanziaria netta delle famiglie più che sufficiente per rimpiazzare in tutto o in parte il debito pubblico estero eventualmente non più sottoscritto dagli stranieri. L'Italia ha oggi il più basso rapporto tra debito pubblico estero e ricchezza finanziaria netta delle famiglie, migliore di quello della stessa Germania. Il nostro paese, nell'interesse di tutti gli italiani, farebbe bene a dare ampia risonanza di ciò ai mercati perché forse tanti investitori (e speculatori) non ne sono consapevoli.

3. Debito pubblico totale/ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Anche considerando il debito pubblico totale e prendendo come riferimento il suo prevedibile anno di picco, cioè il 2012 secondo le ultime previsioni della Commissione Europea, risulta che solo Atene e Dublino sono nettamente fuori linea se si rapporta tale debito alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Questo rapporto (e non quello del debito pubblico/Pil) dovrebbe essere una delle fondamenta del nuovo Patto di stabilità: esso non dovrebbe superare il 60%, con facili margini di rientro per Italia, Francia e Portogallo, che oggi lo superano di poco, mentre alla Spagna sarebbe richiesto un impegno un po' più forte. Valutata con parametri più sensati, la crisi dei debiti sovrani europei, in realtà, è una tempesta in un bicchier d'acqua. Una tempesta che nasce dagli errori concettuali di comunicazione al mercato dell'Europa stessa (basati sull'attribuzione di un significato fuorviante e quasi apocalittico al parametro del debito pubblico/Pil) e che è aggravata anche dai continui messaggi contraddittori dei suoi leader, a cominciare dalla "maestrina" Angela Merkel come ha bene sottolineato Romano Prodi sul Messaggero alcuni giorni fa. Il rischio default riguarda solo due piccoli paesi dell'Euroarea come Grecia e Irlanda. L'idea che la Spagna possa fallire, pur avendo compiuto in questi anni drammatici errori di politica economica (grandemente finanziati dalle banche tedesche), è pura follia. A meno che gli europei e la loro moneta unica non vogliano imitare in tutto e per tutto i lemmings.

4. Il debito aggregato. Consideriamo ora, oltre al debito pubblico lordo, anche il debito delle imprese non finanziarie. Scopriamo che rispetto a questo debito aggregato, il "polmone" della ricchezza delle famiglie, alle cui attività finanziarie nette a questo punto vanno aggiunti anche gli asset immobiliari per avere una visione più completa dello stato patrimoniale privato, risulta assolutamente adeguato in Francia, Germania e Italia: tutti paesi che vantano dei "debt/equity" nazionali tranquilli, intorno al 32-38 per cento. Portogallo e Spagna sforano di poco la soglia classica del 60%, mentre soltanto le solite Irlanda e Grecia appaiono in crisi conclamata.

5. Debiti delle famiglie. Le famiglie italiane sono poco indebitate, con appena 21.800 dollari in media per adulto (prevalentemente mutui ben investiti in case che, diversamente da quelle di americani, irlandesi e spagnoli, non hanno perso valore). Le famiglie più indebitate sono invece quelle irlandesi, con 77mila dollari per adulto. Soltanto le famiglie greche sono meno indebitate di quelle italiane. Ma è una scarsa consolazione per i greci, perché in Grecia il rischio default non è nato dal debito privato bensì da quello pubblico e dalla progressiva erosione e dalla fuga all'estero dei patrimoni familiari.

6. Distribuzione della ricchezza. Un paese sopporta meglio una grande crisi economica non soltanto se possiede un elevato stock di ricchezza finanziaria netta e immobiliare delle famiglie, ma anche se tale ricchezza è ben distribuita e non concentrata solo in poche mani. È importante allora guardare a indici di equidistribuzione come la ricchezza mediana. Quella italiana è di gran lunga la più alta nella Ue a 27 (ed è seconda al mondo solo dopo quelle degli australiani e dei norvegesi). L'Irlanda, pur molto distaccata dopo l'Italia, è al secondo posto per ricchezza mediana tra i sette paesi qui esaminati. Ciò significa che gli irlandesi, se il loro stato eviterà il default, dovranno fare sacrifici durissimi per venir fuori dal tunnel ma che hanno i mezzi per farcela.

7. Bilancio primario. Secondo i dati consuntivi e previsionali della Commissione Europea (non del governo italiano), nel quadriennio 2008-2012 l'Italia si caratterizza per il miglior bilancio primario pubblico (una media dell'1,5% del Pil) davanti alla stessa Germania (0,4%). Tutti gli altri paesi sono in disavanzo e i più sotto pressione sono Irlanda, Grecia e Spagna.

8.Tasso di disoccupazione. Germania e Italia hanno i più bassi tassi di disoccupazione. I più alti sono quelli di Spagna, Irlanda e Grecia.

9. Esposizione delle banche verso i paesi "periferici". Secondo un recente studio di Deutsche Bank, le banche italiane sono di gran lunga le meno esposte verso Grecia, Irlanda e Portogallo (per un totale di soli 26 miliardi di euro nei tre paesi). Quelle più esposte sono le banche tedesche (213 miliardi) e francesi (142 miliardi).

10. Competitività reale. La reale competitività di un'economia si misura con i fatti e non con indicatori astratti (di gran moda nei convegni e nei dibattiti sulla stampa, a cominciare da quello abusato della "produttività" fino agli "eterei" tassi di cambio reali). E la vera competitività si misura sui mercati più difficili, non sul mercato interno europeo che ormai è un grande mercato comune. I fatti ci dicono che, se escludiamo l'energia, l'Italia (con 38 miliardi di euro nel 2009) è seconda nella Ue a 27 solo alla Germania (107 miliardi) per surplus commerciale con i paesi extra Ue. Anche l'Irlanda ha un bel surplus (17 miliardi) ma se lo è costruito non con il lavoro e la genialità dei propri imprenditori (come l'Italia) bensì con vantaggi fiscali anacronistici (e inaccettabili in un mercato unico come quello europeo) che hanno attratto nell'isola multinazionali che avrebbero invece dovuto pagare le giuste tasse nei loro paesi d'origine.

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