Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 14:50.
L'ultima modifica è del 08 maggio 2011 alle ore 15:09.

My24

Anche sul versante dei mezzi aerei la situazione europea è imbarazzante: dei 4mila elicotteri militari disponibili, solo una sessantina sono in Afghanistan insieme a una trentina dei quasi 3mila jet da combattimento europei, dei quali neppure un centinaio vengono impiegati nelle operazioni sulla Libia (e di questi meno della metà sono autorizzati ad attaccare al suolo le forze di Gheddafi).

Ma forse a Tripoli l'Europa potrebbe ancora riscattare un ruolo militare di primo piano. «La crisi libica costituisce un'opportunità concreta per l'Europa, specie ora che gli Stati Uniti si sono defilati, per dimostrare capacità e determinazione in campo militare superando condizionamenti politici, sociali e culturali», sostiene l'ammiraglio Giuseppe Lertora, già comandante della Squadra navale e della forza marittima Euromarfor. «Da tempo esistono programmi d'integrazione in campo navale tra gruppi di portaerei che puntano alla interoperabilità, cioè alla possibilità che aerei di una nazionalità operino a bordo di portaerei di altri Paesi. Nell'ipotesi che la drammatica situazione umanitaria di Misurata richieda un intervento terrestre, gli europei possono mobilitare una consistente forza anfibia».

Dopo il ritiro dei 90 jet statunitensi, a inizio aprile, la campagna aerea alleata ha subito un forte rallentamento lamentato più volte dagli insorti libici. «Sulla scarsa efficacia europea nella campagna militare libica influiscono anche limitazioni dovute ai tagli ai bilanci della Difesa - sostiene Politi - ma questa operazione costituisce l'ultimo appello dalla crisi jugoslava del 1991 perché i più importanti Paesi europei, inclusa la Svezia, adottino sistemi d'arma standardizzati». Un tema sul quale entrano in gioco anche interessi legati alle commesse all'industria nazionale e ai livelli occupazionali spesso preponderanti rispetto all'esigenza di standardizzazione europea, tesa a ridurre costi e duplicati e a produrre maggiore efficienza.

«Il perseguimento d'interessi nazionali a scapito di quelli comunitari ha portato gli europei a disporre di singole forze aeree squilibrate che messe insieme non ne fanno una completa – aggiunge Tricarico –. Tutti hanno un certo numero di caccia e cacciabombardieri, ma siamo privi di velivoli teleguidati armati o aerei da trasporto strategico e carenti nelle componenti tanker, per il controllo elettronico strategico, nella guerra elettronica». Invece di accentuare le spinte all'integrazione europea, il disimpegno statunitense sembra al contrario spingere i Paesi del Vecchio continente a muoversi in ordine sparso o a cercare partnership bilaterali come l'intesa franco-britannica siglata nel novembre scorso sulla base di una strettissima cooperazione strategica e industriale, già in parte evidente nella leadership espressa nella gestione della crisi libica. Per Tricarico «Francia e Gran Bretagna hanno intrapreso la strada giusta della cooperazione rafforzata per irrobustire le capacità operative, ma il metodo adottato non è condivisibile perché emargina gli altri partner europei. L'intesa bilaterale prevede un'integrazione industriale che rischia di emarginare gli altri Paesi, Italia inclusa».

La debolezza europea «non può ridursi solo a un mero problema di finanze assegnate - sostiene Lertora -: la vera ragione è di ordine culturale, legata ai campanilismi nazionali che ci allontanano da una vision comune del sistema Difesa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi