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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2011 alle ore 08:15.

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La nuova guerra fredda passa dal webLa nuova guerra fredda passa dal web

Il Fondo monetario internazionale ha subito un attacco informatico che ha mandato in tilt per alcune ore i computer dell'organizzazione. Un portavoce dell'Fmi ha confermato che il fondo è «pienamente operativo» e che sull'incidente «è stata aperta un'inchiesta». Quello delle ultime ore è solo l'ultimo di una serie di attacchi che hanno colpito il sistema informatico del Fondo. Sull'attacco sta indagando l'Fbi. Secondo quanto si è appreso, l'obiettivo degli hacker sarebbe stato quello di installare un software capace di attribuire lo status di nazione a quello che gli esperti definiscono «un intruso digitale». (Redazione online)

di Marco Magrini
«Per assurdo, gli iraniani dovrebbero dire grazie», ironizza Ralph Langner, dal palcoscenico del Teatro Drammatico di Tallinn, davanti a una folla di esperti – civili e militari – della sicurezza. «Grazie di averci attaccati con Stuxnet, invece che con le armi convenzionali». Perché il virus più insidioso della storia, l'anno scorso è riuscito a mettere in ginocchio l'impianto di Natanz, dove il regime iraniano arricchiva l'uranio. Ma senza bisogno di lanciare un missile che avrebbe «infiammato l'intero Medio Oriente», osserva Langner, la cui società è stata la prima a "guardare" dentro al sofisticato codice di Stuxnet.

Però c'è di più: chiunque l'abbia scritto (c'è chi dice Israele, chi gli Stati Uniti, chi tutti e due) ha fatto un affare. «Sviluppare Stuxnet sarà costato una decina di milioni di dollari - osserva Langner - ma per un attacco militare ci volevano 10 miliardi».

Sotto le luci dei riflettori, quasi fosse un attore, Langner illustra le insicurezze dei sistemi digitali ed elettrici per il controllo industriale, come quello che governava l'impianto iraniano. «Chi riesce a prenderne le redini a distanza – spiega – è in grado di azionare valvole, pompe e motori di centrali elettriche, acquedotti e perfino reattori nucleari».

Benvenuti nell'era della guerra digitale. Al convegno di Tallinn della Nato, che nella capitale estone ha il suo centro di ricerca per la difesa cibernetica (CcdCoe), una frase ha risuonato nei tre giorni di dibattito: la «militarizzazione dell'internet», quasi fosse un ritorno alle sue origini, in seno al Pentagono.

«Si dice che al mondo 36 Paesi stiano ammassando armi digitali - afferma Ilmar Tamm, il colonnello dell'esercito estone che comanda il CcdCoe – anche se nessuno dice esplicitamente quali». Ma 36 sono molti di più dei prevedibili Stati Uniti, Cina, Russia e Israele. Ne costruite anche voi, colonnello? «Sì e no», risponde Tamm. «Quando facciamo le esercitazioni per la difesa, dobbiamo per forza trovare anche soluzioni per l'offesa». Nell'era del riarmo digitale, le due cose vanno mano nella mano.

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