Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2011 alle ore 08:15.

My24
La nuova guerra fredda passa dal webLa nuova guerra fredda passa dal web

«I network sono moltiplicatori di distruzione molto più di quanto si pensasse», spiega durante una pausa dei lavori Daniel Bilar, direttore della ricerca di Siege Technology, società americana di tecnologie per il conflitto elettronico. «Rispetto ai tempi della strategia nucleare, siamo in un'epoca dove chi colpisce per primo è avvantaggiato. Geopoliticamente, è molto pericoloso: più una società è avanzata, più è vulnerabile» a questa guerra che gli esperti definiscono «asimmetrica». «Abbiamo bisogno di una chiara e dettagliata dottrina Mad per l'éra cibernetica», conclude Bilar.

Il paradigma della mutua distruzione assicurata – battezzato Mad - aveva garantito che la Guerra Fredda restasse fredda. Ora c'è bisogno di qualcos'altro.

Il guaio è che la cyber-deterrenza non sta in piedi. «Il Pentagono – osserva Charlie Miller, una celebre analista software – dice di essere pronto a rispondere militarmente a un cyber-attacco distruttivo, ma la cosa non ha senso: è impossibile attribuire la responsabilità di un attacco. Un Paese potrebbe far credere che sia stato un altro, in modo da scatenargli l'America addosso».

Il primo cyber-attacco è avvenuto qui in Estonia, nel 2007. Un Paese ai primi posti al mondo nell'e-government, i cui server vennero resi inutilizzabili da un'attacco proveniente dalla Russia, pur senza prove di un'orchestrazione governativa. «Il rischio non è più teorico - ha detto alla conferenza Toomas Hendrik Ilves, presidente dell'Estonia sin da quei tempi – e dobbiamo fronteggiarlo con un'alleanza fra pubblico e privato: le università non si possono permettere di assoldare l'equivalente "cyber" di Ed Teller», uno dei padri della bomba atomica. Secondo un report di AsdMedia, quest'anno la spesa globale in difesa e offesa digitale arriverà a 12,5 miliardi di dollari.

«Una soluzione sarebbe chiedere aiuto ai giovani hacker», suggerisce Raoul Chiesa, l'ex hacker torinese che è oggi consigliere dell'Unicri (il braccio anti-criminalità dell'Onu) e sta conducendo una sorta di censimento della comunità nascosta dei giovani geni del codice software. «Siamo 150 volontari – sentenzia Andrus Padar, un membro della lega estone per la cyber-difesa, benedetta dal presidente Ilves – e abbiamo senso patriottico».

Come nel mondo reale, la militarizzazione di internet riguarda anche l'intelligence. «Negli ultimi sei anni abbiamo monitorato una serie di attacchi di spionaggio – racconta Mikko Hypponen di F-Secure, società di sicurezza finlandese – apparentemente provenienti dalla Cina e diretti all'Occidente. Ormai lo spionaggio si fa così: perché i dati non sono più nel mondo reale, ma nei network di computer».

In sala, c'è uno spettatore un po' irriverente. «Secondo lei, in questo teatro c'è qualcuno che ha lavorato alla creazione di Stuxnet?», chiede. «Beh, io credo che Stuxnet origini più dai servizi segreti che non dall'esercito», gli risponde imperturbato Ralph Langner. Che poi si rivolge al pubblico: «C'è qualcuno della Cia qui?». Non si è levata nessuna mano. Ma una risata, sì.

Shopping24

Dai nostri archivi