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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2011 alle ore 13:57.

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In pensione lo Shuttle, non il grande sogno. Nella foto lo Shuttle Atlantis atterra sulla pista della base di Cape Canaveral, in Florida (Ansa)In pensione lo Shuttle, non il grande sogno. Nella foto lo Shuttle Atlantis atterra sulla pista della base di Cape Canaveral, in Florida (Ansa)

Così, con lo Shuttle che va in pensione, non finisce l'era dello spazio. Comincia solo il declino della superpotenza spaziale americana. «La leadership americana nello spazio – ha aggiunto Bolden – continuerà almeno per la prossima metà del secolo, perché abbiamo gettato le basi del successo». Il dominio scientifico e tecnologico è innegabile: nel corso di quest'anno, la Nasa lancerà il robot Curiosity verso il suolo di Marte, la sonda Juno nell'orbita Giove e la missione Grail (composta da due sonde orbitanti) intorno alla Luna. Eppure, per quanto ne dica Bolden, da qui a metà secolo le superpotenze spaziali non saranno più una sola.

Dopo la sigla della Nasa, è bene impararne un'altra: Cnsa, China National Space Administration. Dopo il segretissimo Progetto 714 voluto da Mao e da Zhou Enlai in risposta alla rivalità cosmica di Usa e Urss, i programmi odierni di Pechino sono (solo un po') più trasparenti. Si sa del progetto di costruire una piccola stazione spaziale. Della volontà di calcare, entro il 2025, il primo piede non-americano sulla Luna. Le missioni verso Marte sono programmate fra il 2014 e il 2033, con l'idea di spedirci anche gli esseri umani dopo il 2040. Si sa già che l'India, non intende restare indietro.
In questo scenario indefinito, non si può escludere una futura competizione – e magari una disputa – sul primo obiettivo possibile: la Luna. Perché il Moon Treaty, firmato nel 1979 dalle Nazioni Unite, nel frattempo è stato ratificato solo da Australia, Belgio, Kazakhstan, Libano, Marocco, Filippine, Uruguay e pochi altri. E non si tratta di un fatto trascurabile, perchè il trattato proibisce «l'uso militare dei corpi celesti». Proprio il contrario di quel che avviene ai piani alti dell'orbita terrestre.

Anche se le «guerre stellari» immaginate da Ronald Reagan sono rimaste nella fantasia, la militarizzazione dello spazio è una realtà: i satelliti-spia girano di continuo sopra le teste di (quasi) sette miliardi di esseri umani; si dice che il budget spaziale del Pentagono sia superiore a quello della Nasa; e la Cina ha la capacità di puntare potenti laser nello spazio per accecare i satelliti. In questo scenario, una ratifica universale del Moon Treaty sarebbe davvero una bella idea.
Venerdì prossimo, sempre che ci siano le condizioni tecniche per il lancio, parte la missione STS-135, la 135esima e ultima dell'epopea Space Shuttle. Le sue conquiste scientifiche, tecnologiche e anche sociali – dopotutto ha reso i cittadini del mondo fieri dell'umanità e gli americani fieri della Nasa – restano scritte nella storia, che poi è la preistoria dell'esplorazione spaziale. Anche se due incidenti fatali (Challenger e Columbia) su 135 lanci non possono essere definiti un bel track record, lo Shuttle è servito a operazioni mirabolanti. Come la riparazione in orbita del telescopio spaziale Hubble, l'occhio (questo sì, a servizio dell'umanità) che scruta le profondità del cosmo.

Da venerdì, a raccontarci in tempo reale quel che accade a bordo, non ci sarà solo il comandante. Promettono di twittare via internet pure il suo vice Doug Harley (@Astro_Doug), la mission specialist Sandy Magnus (@Astro_Sandy) e Rex Walheim (@Astro_Rex). Anche questo, è un segno dei tempi.

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