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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 09:53.

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La sfida capitale della politicaLa sfida capitale della politica

Se la Seconda repubblica si avvia a mesta conclusione, rimane aperto il problema storico che ha segnato l'ultimo ventennio italiano: l'incapacità della politica di uscire dalla crisi di legittimità che nei primi anni Novanta travolse la Prima repubblica. Una crisi da cui la politica non si è più ripresa, navigando a vista tra partiti personali strettamente legati ai destini di un unico leader e partiti che hanno provato freneticamente a reinventarsi senza mai riuscire a diventare organizzazioni vitali e capaci di dialogare con la società civile.

I molti ritardi che l'Italia ha accumulato in questo ventennio sono anche figli della debolezza della politica. Una debolezza paradossale, in un Paese dove ogni aspetto della vita pubblica sembra contaminato dai condizionamenti della politica. Eppure è una contaminazione occulta, che non diventa mai trasparente assunzione di responsabilità. Il caso della legge elettorale è quello più clamoroso, se la facoltà di decidere i parlamentari è stata sottratta al giudizio degli elettori e affidata a un ristretto gruppo di professionisti della nomina. Ma altrettanto grave è il neostatalismo municipale, che ovunque a livello locale vede tornare la mano dei partiti nella gestione economica con il risultato di ridimensionare gli spazi della concorrenza.

Su tutto, l'incapacità della politica di mostrarsi coerente e responsabile rispetto alle posizioni e alle promesse assunte nel passato anche recente. Quante volte abbiamo ascoltato politici anche di primissima fila e di altissima responsabilità parlare come se si fossero appena affacciati alla vita pubblica? La Seconda repubblica finisce dunque senza avere in alcun modo risolto una debolezza strutturale della nostra nazione, ma al contrario consegnando a tutti noi il compito di restituire forza e autorevolezza alla politica e ai suoi strumenti democratici. Quella forza e quell'autorevolezza non potranno essere ritrovate per miracolo, ma saranno il risultato faticoso di un dialogo da ricreare con la società civile italiana e di una nuova fase costituente alla quale tutti dovranno dare il proprio contributo. Il mondo del lavoro insieme all'associazionismo, l'imprenditoria piccola e grande insieme al sindacato, il grande bacino del volontariato accanto al mondo delle religioni e a quello della cultura. Nessuna esclusione potrà essere giustificata, tantomeno se a pretenderla sarà un ceto di professionisti della politica la cui autorevolezza è ormai ai minimi termini.

Ricostruire l'Italia? Per nostra fortuna non usciamo da una guerra, ma come in un dopoguerra ci troviamo a un bivio storico dal quale dipenderà il futuro dei nostri figli. Possiamo scegliere di abbandonarci con rassegnazione a un destino di declino, dove ci spinge, mese dopo mese, la cronaca sempre più fitta delle malattie italiane. Oppure possiamo assumerci la responsabilità di invertire la rotta per ritrovare il senso di una missione condivisa, prima di tutto dicendo a noi stessi tutta la verità sullo stato della nazione e subito dopo definendo un'agenda minima ma inflessibile dei provvedimenti da prendere con la massima urgenza.

È su questo piano che si misurerà la qualità delle classi dirigenti italiane, dalla loro capacità di uscire da una visuale ristretta di interessi particolari per mettersi in gioco collettivamente. Non sarà l'impresa di un uomo solo né di un unico settore sociale, ma dovrà necessariamente essere un traguardo il più ampiamente condiviso. Solo così la nostra democrazia potrà tornare a dotarsi di una politica credibile e autorevole, non più separata dal muro di sfiducia invalicabile che ormai la circonda, ma nuovamente capace di alimentarsi alle correnti più feconde della società italiana. D'altra parte questo è quanto accadde nel secondo dopoguerra, quando una classe dirigente che non era composta da professionisti della politica, ma da esponenti di altissima qualità di tutti i settori della vita associativa, riuscì a restituire all'Italia un futuro di speranza e di crescita economica e civile.

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