Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2011 alle ore 10:08.

My24
Illustrazione di Manuele FiorIllustrazione di Manuele Fior

Di cosa poi si dovrebbe essere orgogliosi? Dell'attrazione che l'Italia ha sempre esercitato, della fascinazione per l'arte italiana, del Drang nach Süden con Goethe sdraiato sullo sfondo del Foro, dei Deutsche Römer, di Villa Medici e Villa Malta, dei Prix de Rome, dei candori dei Nazareni e dei languori dei preraffaelliti, delle passioni per le donne di Avito e di quelle per i ragazzi di Capri? L'orgoglioso inebriarsi, alla stessa stregua del suo opposto, l'umile prostrarsi, procura momentanea soddisfazione a sé, provoca fastidio o imbarazzo negli altri.

L'orgoglio divide, isola. Essere "contento" invece significa sentire che non c'è contrapposizione tra sentire propri, a volte perfino con un po' di complicità, i valori della cultura d'origine e l'essere aperto a quelle che si sentono prossime, significa riconoscere che le identità nazionali si sono formate attraverso i contatti con le diversità e che solo così possono sopravvivere al rischio d'inaridirsi nella riproduzione di stereotipi magari made in China. L'orgoglio è nazionalista, la "contentezza" è pluralista, riconosce le identità nazionali ma non le contrappone. E neppure pretende di federarle in una nuova entità che le uniformi e tutte le contenga.

Vuole aprire la Russia alla cultura europea, non copiare modelli italiani, Pietro il Grande che chiama Rastrelli, Ricci, Quarenghi per costruire i nuovi palazzi di San Pietroburgo. Apre la propria tavolozza alla cultura inglese Canaletto quando si sposta a Londra dove ci sono i suoi grandi committenti; è di Dresda e di Varsavia, non di Venezia la luce livida delle vedute di Bellotto. Ed è a Parigi che nel 1909 il Futurismo annuncia una rivoluzionaria avventura artistica che fisserà i canoni della modernità.

Non credo si sentisse uno straniero Alessandro Manzoni a Parigi, negli anni in cui frequentando gli idèologues, gli amici di Mme de Staël e della vedova di Condorcet, conobbe Benjamin Constant, François Guizot, l'economista Jean-Baptiste Say. Figlio, in tutti i sensi, dell'illuminismo lombardo - fino al 1820 avrà ogni giorno tra le mani un libro di Voltaire - vive a Parigi l'evoluzione dell'illuminismo in romanticismo. Manzoni non accetterà la convinzione del fraterno amico Claude Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima, non rinuncerà al dominio intellettuale del sentimento, caratteristica del romanticismo italiano. Resterà invece il ricordo delle lezioni di economia liberale nell'analisi dell'assalto ai forni nel capitolo XII dei Promessi Sposi: se l'autorità abbassa d'imperio il prezzo del pane, i fornai non hanno più interesse a panificare provocando la reazione della folla inferocita.

Shopping24

Dai nostri archivi