Il Sole 24 Ore
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24 gosto 2011

Via d'uscita dal labirinto del debito

di Marco Fortis


L'intero mondo avanzato si è perso nel labirinto del debito, da cui è difficilissimo uscire una volta che vi si è entrati, come dimostra l'esperienza italiana. Infatti, un Paese come il nostro, con un debito pubblico di 1.900 miliardi di euro in gran parte ereditato dal passato, se vuole mantenere tale debito semplicemente invariato in livello assoluto deve conseguire un bilancio statale rigorosamente in pareggio. Il che significa non soltanto avere entrate superiori alle spese di esercizio ma anche in grado di pagare gli enormi interessi sul debito stesso, pari attualmente a circa 80 miliardi all'anno. Per "neutralizzare" questa cifra il nostro avanzo primario dovrebbe essere già ora di pari entità. Vale a dire che le attuali entrate dovrebbero essere superiori alle normali spese di esercizio di circa 5 punti percentuali di Pil. Il che, purtroppo, per il momento è solo un obiettivo che stiamo cercando faticosamente di raggiungere.

A fine 2010, infatti, il nostro bilancio primario era quasi in pareggio, tra i migliori in Europa, pari a -0,1 punti di Pil, ma il deficit statale complessivo era comunque ancora del 4,6%, composto, per l'appunto, di 4,5 punti di interessi sul debito e solo di un modesto disavanzo primario di 0,1 punti.

Con la manovra attualmente in via di definizione, resasi necessaria per il precipitare degli eventi, per l'impennata dei tassi e per dare di conseguenza un chiaro segnale di reazione ai mercati, l'Italia dovrebbe raggiungere l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, cioè assai prima di tutti gli altri grandi Paesi europei e degli Stati Uniti.

Vale a dire che a quella data il nostro surplus primario annuale sarà finalmente di circa 80 miliardi di euro: la cifra necessaria per pagare completamente gli interessi. A quel punto e solo allora il livello assoluto del nostro debito pubblico, che sarà arrivato intanto a 2mila miliardi di euro, smetterà di crescere. Ma a quella data, assumendo che nel frattempo la crescita nominale del Pil possa essere stata almeno del 3% annuo, il nostro debito pubblico sarà ancora pari a circa il 118% del Pil, cioè di un punto soltanto inferiore a oggi. Come abbattere dunque questo rapporto ancora troppo elevato persino nel fatidico 2013?

Innanzitutto, da allora in avanti si dovrà mantenere costante, ogni anno e senza più cedimenti di sorta, un surplus primario di circa 5 punti di Pil, esclusivamente per pagare gli interessi, che per un bel po' continueranno a mantenere un elevato livello assoluto. Se poi dal 2013 in avanti volessimo affidare alla crescita del Pil il compito di abbattere progressivamente il rapporto debito/Pil, che tipo di crescita servirebbe? A debito fermo, per ridurre tale rapporto ai livelli odierni di Francia e Germania, cioè all'incirca all'85%, sarebbe necessario un "salto" del Pil in valore nominale di ben 650 miliardi rispetto ai livelli del 2013. Un obiettivo che riusciremmo a raggiungere solo verso il 2019 persino nell'ipotesi che l'incremento nominale del Pil possa essere dal 2013 in poi del 5,5% annuo (il che significa ipotizzare un'inflazione del 2,5% e un'ambiziosa crescita reale del 3% che oggi non è alla portata di nessuno nel mondo avanzato!).

È del tutto evidente da queste cifre che se l'azzeramento del bilancio è possibile, sia pure a prezzo di durissimi sacrifici, l'abbattimento del rapporto debito/Pil in tempi ragionevoli non potrà venire in alcun modo dalla sola crescita dell'economia. Quest'ultima è necessaria per le imprese (a cui gioverebbe anche una fiscalità di vantaggio che favorisca l'aumento delle loro dimensioni), per i giovani e per rilanciare l'occupazione ma la crescita da sola non basterà a sconfiggere il minotauro del debito.

È altrettanto evidente che l'Italia non può nemmeno accontentarsi di un piccolo ritocco verso il basso del suo debito per sentirsi al sicuro. Probabilmente se quest'estate il nostro debito pubblico fosse già stato di 200 miliardi inferiore e il rapporto con il Pil al 106% (cioè come prima della crisi), l'Italia sarebbe stata attaccata comunque sui mercati, essendo tra i grandi Paesi avanzati quello ad avere contemporaneamente il più elevato debito pubblico e una forte quota dello stesso in mani estere. Le cause della nostra accresciuta criticità dipendono dal mutato quadro internazionale: uno scenario in cui il debito pubblico complessivo degli Stati Uniti e dell'Unione europea dal 2007 al 2010 è aumentato di circa 5.800 miliardi di euro (un valore pari a circa i 2/3 del Pil dell'Eurozona). Conseguentemente i Paesi cercano ora di finanziare innanzitutto i propri nuovi debiti anziché quelli degli altri.

Non a caso in questi ultimi giorni si è tornato a parlare in Italia di abbattimento del rapporto debito/Pil mediante alcuni drastici tipi di intervento: in primo luogo attraverso un più incisivo recupero dell'evasione fiscale (su cui insiste particolarmente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) e l'innalzamento dell'età pensionabile, ma soprattutto attraverso la cessione di patrimonio pubblico o mediante una tassa patrimoniale. La cessione di patrimonio pubblico è un vecchio cavallo di battaglia di Giuseppe Guarino e Paolo Savona. Purtroppo cedere immobili ai prezzi attuali non è certo un buon affare. Un'eventuale massiccia dismissione di immobili pubblici andava fatta prima. L'ipotesi è comunque di un certo interesse ed è allo studio.

La tassa patrimoniale è invece una cura draconiana. Se ne riparla con sempre maggiore frequenza da alcuni mesi. Per abbattere il rapporto debito/Pil italiano a livelli francesi o tedeschi bisognerebbe applicare un prelievo di circa 650 miliardi alla ricchezza degli italiani (nell'ipotesi che tale tassa gravi solo sul 25% delle famiglie più abbienti, si tratterebbe di un prelievo medio di ben 130mila euro a famiglia!). A quel punto il rapporto debito pubblico/Pil dell'Italia scenderebbe all'85% e il nostro debito pubblico diventerebbe di tipo giapponese, cioè finanziato quasi esclusivamente da risorse interne con un peso limitato del debito estero.

Ma sarebbe un duro sacrificio per gli italiani, specie considerando che tale sacrificio avverrebbe sull'altare di un parametro per noi eccessivamente punitivo, il rapporto debito pubblico/Pil. Mentre già oggi l'Italia, in virtù della sua specificità, può vantare un indicatore di solvibilità, il rapporto debito pubblico/patrimonio privato che, includendo anche i valori immobiliari, è persino migliore di quelli di Germania e Stati Uniti.

Ci troviamo di fronte, in definitiva, a un vero rompicapo, prigionieri del rapporto debito/Pil con il numeratore ovunque in aumento nel mondo ricco e il numeratore fermo o quasi. Uscire dal labirinto del debito pubblico non sarà affatto facile né per l'Italia né per l'Eurozona senza il filo di Arianna degli Eurounionbond proposti con la loro lettera a Il Sole 24 Ore da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio.


24 gosto 2011