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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 13:29.
L'ultima modifica è del 04 settembre 2011 alle ore 13:46.

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Il secondo principio che sta saltando è il "too big to fail" (troppo grande per fallire) sulla motivazione che quel fallimento potrebbe provocare una catastrofe apocalittica nell'economia e nella politica. Il concetto di "istituti di sistema" che debbono essere comunque salvati è per la prima volta minacciato dal principio di responsabilità, caposaldo questo di ogni teoria della giustizia, e fatto finalmente valere nei confronti della irresponsabile libertà dei mercati finanziari. Ma il fatto assolutamente nuovo è che non siano i singoli investitori danneggiati a richiedere il rimborso dei danni subiti, ma il Governo degli Stati Uniti. Sembra questa una prima, evidente e impietosa rivolta della politica nei confronti della sua sudditanza alla finanza, agli investitori istituzionali, agli speculatori. Ci si può chiedere allora se l'azione contro le banche potrebbe costringerle a risarcire i danni e a rischiare nuovamente l'insolvenza, ma questa volta a fallire?

Il terzo principio, che cancella anni di ignoranza, è il ricorso al diritto, e in particolare alla giustizia civile, da parte della politica e non solo dei risparmiatori arrabbiati. La politica che finora il diritto l'ha creato sembra adesso finalmente obbedire allo Stato di diritto. Il capitalismo finanziario aveva da sempre condizionato, dei tre poteri fondamentali della democrazia, l'esecutivo e il legislativo, imponendo regole autoreferenziali a sua esclusiva protezione e incurante della tutela dei meno abbienti, fiducioso che il ricorso al potere giurisdizionale rimanesse comunque marginale e preferibilmente delegittimato.

Questa nuova svolta americana rimette decisamente in discussione tutta la struttura dell'economia finanziaria e i principi della democrazia, spingendo a rifondare le basi sulle quali impostare le regole della globalizzazione capitalista. Questa volta, oltre a decidere come debba risolversi la crisi con diretti e indiretti problemi, riguardanti il flusso dei capitali, la qualità degli investimenti, la disoccupazione, la tutela di una vita buona dei cittadini, la destinazione del debito pubblico e tutto quel che dipende dalla politica economica non sembrano più essere solamente i politici, i banchieri centrali con i loro suggeritori, ma anche i giudici, e non solo quelli penali. Più che mai sono ancora oggi decisive le idee del famoso saggio La funzione della giurisprudenza al tempo presente di Piero Calamandrei del 1955. L'opera del giudice infatti nell'economia ha, nel bene e nel male (ricordo che la Corte suprema degli Stati Uniti bocciò una serie di leggi del New Deal roosveltiano), una funzione, sicuramente non solo interpretativa, diretta a soddisfare le ragioni e le esigenze di legalità, senza sacrificare né equità né giustizia.

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