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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2011 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 14 settembre 2011 alle ore 09:00.

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Penso allo Smith che nella Ricchezza delle nazioni, interrogandosi sull'origine della "propensione allo scambio (propensity to truck)", si domanda se per caso essa non dipenda da ragione e linguaggio, proprio i fattori che già Aristotele invocava per giustificare la natura sociale del modo umano di abitare il mondo. Smith tornerà sulla questione altrove, nelle Lezioni di Glasgow, dove significativamente evocherà la naturale inclinazione di ogni uomo a persuadere, cioè - potremmo dire - a fidarsi dell'altro e perciò a fare società.

Per riaffermare questa naturale inclinazione alla fiducia reciproca occorre allora passare da un concetto di ragione ridotta a puro calcolo a un concetto di ragione come capacità d'identificare e condividere ciò che è bene per l'uomo. E, riecheggiando il famoso passo aristotelico della Politica, potremmo dire che non c'è bene umano personale che non sia un bene ricevuto in dono da altri e responsabilmente donato a propria volta.
È su questo concetto impegnativo di Koinonìa che Aristotele fonda la città, il cui scopo non è la semplice sopravvivenza, come dirà Hobbes restringendo per l'appunto l'orizzonte della ragione, ma la vita buona che, non a caso, per Aristotele è - a un tempo - del singolo e di tutti, oppure semplicemente non è.

È in questa luce che va inteso uno degli elementi più originali, e tutt'ora più incompresi, della Caritas in veritate: lo sviluppo integrale dell'uomo deve fondarsi su un'antropologia adeguata in cui la persona e la società sono viste a partire dall'origine, da ciò che precede il puro fare. A cominciare dalla nascita, non esiste realtà, attività, azione o iniziativa umana, che non affondi le radici in un'origine che la precede, ossia nella "stupefacente esperienza del dono" (Caritas in veritate 34), la cui logica come «espressione della fraternità» non va semplicemente invocata per correggere a posteriori le eventuali distorsioni che l'economia produce, ma è «un'esigenza della stessa ragione economica» (Caritas in veritate 36).

Soltanto un allargamento della ragione economica e politica sarà in grado di ridare senso e vigore a parole – penso per esempio a carità, solidarietà, responsabilità, cooperazione – su cui si registra puntualmente un vasto consenso ma che suonano poi molto spesso logore o depotenziate. A richiamare la loro pertinenza per una corretta concezione della sfera economica ha pensato ancora una volta Benedetto XVI. Stimolato dalle domande dei giornalisti che lo accompagnavano a Madrid per la Giornata mondiale della Gioventù, il Papa è tornato sinteticamente, ma in maniera molto incisiva, sulla crisi economica riaffermando che «la dimensione etica non è una cosa esteriore ai problemi economici, ma una dimensione interiore e fondamentale».
Angelo Scola è il nuovo arcivescovo di Milano.
L'articolo è un estratto dell'intervento inviato alla Fondazione Cini di Venezia per l'inaugurazione della Summer School di Asset (Alta scuola società economia teologia del Marcianum) sul tema «The whole breadth of reason. Rethinking economic and political reason»

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