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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2011 alle ore 07:49.
L'ultima modifica è del 16 settembre 2011 alle ore 06:38.

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Il ventilato intervento cinese sul mercato secondario del nostro debito sovrano è stato letto come il lancio di una cima di salvataggio. Questa folle idea di salvezza è il riflesso della debolezza dell'Europa. Se per salvarci abbiamo bisogno dei Paesi emergenti, allora mettiamoci il cuore in pace, l'Europa è già perduta.

Il mio non è né un decadente sussulto di orgoglio né una chiamata al protezionismo. Che i Paesi emergenti investano le loro riserve da noi, sia in attività produttive che nel debito sovrano, va benissimo. Del resto già lo fanno, quasi il 30% delle riserve cinesi sono in euro e certamente non tutte in bund tedeschi. E che ci sia un coordinamento nelle politiche economiche globali è ottima cosa.
L'errore è l'idea del salvataggio. Solo l'Europa, infatti, può salvarsi da se stessa. E se i Brics investono nel Vecchio Continente non lo fanno per altruismo ma perché hanno un grande interesse nella sua stabilità. Nel mercato dei denari e delle politiche globali ci si può aiutare ma, a meno di essere un membro marginale della comunità, nessuno può essere salvato, ognuno deve fare la sua parte. Ce lo ricorda appunto il severo rabbuffo con cui il premier cinese Wen Jiabao ha chiuso la vicenda: «Mettete i vostri conti in ordine prima di chiedere l'aiuto cinese».

L'Europa verso l'esterno non può essere divisa. Certo il mondo è piatto e globale, ma ci sono aree più integrate di altre, all'interno delle quali i meccanismi istituzionali di coordinamento e supporto devono per forza essere più forti e stretti. Non ha nessun senso pensare che la Cina possa salvare la Grecia, se la Germania o chi in Europa ha le risorse si ostina a non farlo. Se non altro perché dallo sgretolamento dell'euro la Germania perderebbe circa 20 punti di Pil in un anno, secondo un recente studio di Ubs, sicuramente più della Cina. Finché c'è l'euro di fatto l'Unione monetaria è un'unica grande area di investimento e un solo attore sul mercato globale. Al suo interno ogni Paese membro deve certo fare la sua parte, ma qui avere i conti in ordine significa salvarsi a vicenda se necessario e senza aiuti esterni fintanto che è possibile.

E ancora meno senso ha pensare alla salvezza cinese per l'Italia, quando il nostro Paese ha in sé tutte le risorse necessarie a riprendersi. Non dimentichiamoci che dei famosi 8.600 miliardi di ricchezza delle famiglie di cui tanto si è parlato in questi giorni a proposito di una eventuale patrimoniale, solo il 2,2% sono investiti direttamente in titoli di Stato italiani. Basterebbe una minima riallocazione di questo risparmio per ristabilizzare gli spread dei nostri titoli. E allo stesso modo il Paese è talmente ingessato in lacci e lacciuoli che basterebbe tagliarne un po' e dare un po' di certezza di regole per far ripartire la nostra crescita. Ma se non abbiamo fiducia in noi stessi perché mai dovrebbe averne la Cina?

Eppure paradossalmente l'idea bislacca della salvezza cinese non discende da altro che dalla nostra mancanza di fiducia, dalla nostra depressione (intendo psicologica) da troppi anni di stagnazione. Continuando giustamente e inevitabilmente a guardare la crescita dei Paesi emergenti, continuando a pensare come prosperare in quelle lontane terre promesse, ci siamo dimenticati che, benché stagnanti, i mercati più grandi e ricchi siamo ancora noi. Il Pil cinese è oggi il 36% di quello dell'Unione europea e il 40% di quello americano. La Cina e i Paesi emergenti investono in Europa non per aiutarci, ma perché questo è un mercato che vale 450 miliardi di dollari. Solo il surplus (differenza tra esportazioni e importazioni) verso l'Italia ha contribuito l'anno scorso con 20 miliardi di euro all'accumulo di riserve dell'Impero di mezzo.

E comperare debito italiano sul mercato secondario, e così abbassare lo spread tra BTp e bund, significa accrescere le risorse pubbliche da investire in infrastrutture, scuola o altri investimenti per la crescita, che a sua volta si traduce in altro export cinese. Non è salvezza, ma interesse comune!
Confondendo interesse con salvezza, investimenti con aiuti, rischiamo di cedere a poco, in un momento in cui il mercato sottostima ogni asset, pezzi importanti del nostro patrimonio. Oppure di concedere alla Cina condizioni di migliore accesso ai nostri mercati. Non per nulla Wen Jiabao, dopo la rampogna del niente aiuti senza conti in ordine, ha anche aggiunto: però ci potremmo pensare se intanto alla Cina venisse riconosciuto nella Wto lo status di economia di mercato (che di fatto rende più difficile lanciare azioni anti-dumping). Il che per chi come me crede nel libero mercato sarebbe anche cosa buona. Ma in sé, non come controparte di un falso aiuto.

Insomma, un po' di fiducia in noi stessi per favore, le cime di salvataggio possono essere solo quelle proprie. E infatti, quando le istituzioni fanno quello che devono, vedi le dichiarazioni della Merkel a sostegno della Grecia o l'intervento coordinato delle banche centrali di ieri, i mercati si placano e riprendono a ragionare.

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