Prima del 2008, il totale degli aiuti di Stato in Europa viaggiava su una media annua di 60-65 miliardi di euro. Dopo il fallimento di Lehman Brothers e lo scoppio della grande crisi, la sola Germania ha versato a un'unica banca – la Hypo Real Estate per fare un nome e cognome – aiuti per quasi 140 miliardi: più del doppio rispetto a quel vecchio totale ormai dismesso.
Il Governo inglese è stato di manica ancora più larga con la Royal Bank of Scotland (Rbs) che da sola di miliardi ne ha incassati oltre 160. Forza maggiore? Senza dubbio.
Però, fatti due conti, il pensiero non può non correre immediatamente alla Grecia, a quei 110 miliardi di prestiti ben remunerati che nel maggio 2010 Georges Papandreu ha strappato alla riluttantissima Angela Merkel al prezzo di lacrime e sangue per la sua gente. Oppure agli 85 miliardi andati all'Irlanda a condizioni pesantissime, caduta di un Governo compresa. O ai 78 miliardi ottenuti dal Portogallo sottoscrivendo il terzo patto leonino della serie.
In ciascuno di questi negoziati, uno degli argomenti forti che i tedeschi hanno messo sul tavolo per mettere in riga il terzetto dei reprobi è stato il seguente: come si può chiedere ai contribuenti dei Paesi virtuosi di pagare per quelli che non fanno il loro dovere e violano le regole europee?
Evidentemente l'argomento è buono per i greci, ma non per le banche tedesche, visto che apparentemente non importa se, anche nel loro caso, sono stati spesso comportamenti incauti e dissennati, la calamita di allettanti tassi di interesse nel Sud Europa all'origine delle difficoltà in cui si dibattono. E che si intrecciano proprio con quelle di Grecia & C. In una sorta di nemesi storica, che investe tutta l'eurozona.
Sarà perché domani si terrà a Bruxelles un nuovo vertice dell'euro che spera (ma pochi ci credono) di governare una volta per tutte il binomio potenzialmente esiziale banche-debito sovrano. Sarà perché il morto, i feriti, le proteste di Atene contro un rigore sempre più devastante sono davanti agli occhi di tutti. Sarà perché le marce degli "indignados" in Europa come negli Stati Uniti non possono lasciare indifferenti ma il doppiopesismo, la sensibilità schizoide con cui si sta giocando la partita della duplice crisi europea suscita molte perplessità e altrettanti punti interrogativi.
Sono sempre i numeri a parlare. L'economia della Grecia rappresenta il 2% dell'eurozona e il suo debito il 3%. Fosse stato ben gestito in famiglia, un problema quasi irrilevante.
Tra il settembre 2008 e il dicembre 2010, invece, nel tentativo di stabilizzare un settore investito dalla bufera finanziaria, i 27 dell'Unione hanno mobilitato ben 4.285 miliardi di euro a sostegno degli istituti di credito, cioè il 36% del Pil dell'Unione europea e il 10% del totale degli attivi bancari. Con Germania e Gran Bretagna con una quota ciascuno superiore ai 500 miliardi.
Gli aiuti effettivamente erogati sono stati 1.240 miliardi (10,5% del Pil Ue e 2,9 degli asset totali), il grosso in forma di garanzie (757 miliardi). Il resto tra ricapitalizzazioni (303 miliardi), gestione dei titoli deteriorati (104) e linee di credito (77). I tre maggiori mercati bancari europei, inglese, tedesco e francese, che insieme fanno il 60% di quello Ue, hanno incassato il 60% di questa manna. E ancora.
Ai dieci maggiori istituti di credito europei sono andati 620 miliardi, la metà di tutti i fondi elargiti. I successivi 20 in classifica hanno avuto il 25% del totale. Il resto se lo sono spartito le altre 190 banche beneficiarie. Nei Magnifici Dieci ci sono Rbs e Hypo di cui si diceva all'inizio, seguiti da Lloyds Banking Group con oltre 74 miliardi, Dexia, Fortis e Anglo Irish con quasi 50 miliardi ciascuna, Hsh Nordbank, Allied Irish, Ing e Credit Agricole con circa 25 per uno. Gli ultimi due hanno in parte restituito i capitali incassati.
Questo colossale esborso di denaro pubblico, avvenuto sotto il costante controllo del commissario alla Concorrenza Joaquín Almunia, ha portato alla ristrutturazione di 26 banche, alla liquidazione di 11, con altre 21 in attesa di giudizio a Bruxelles. Non è bastato però a stabilizzare in modo duraturo il settore. Come aiuti e austerità draconiana non hanno guarito la Grecia che infatti in luglio ha avuto un altro prestito da 109 miliardi.
E così per le banche – dall'inizio dell'anno – ci sono state ricapitalizzazioni private per altri 60-70 miliardi. Ancora insufficienti (si parla di 50-60 istituti a rischio sistemico) per contenere la nuova bufera, vaccinarsi dalla sindrome greco-mediterranea contratta con i troppi bond sovrani accaparrati quando offriva rendimenti troppo appetibili per resistere, Dexia insegna. Ma che ora regalano "haircut", cioè perdite non si sa ancora se del 50% o più. Che impongono nuove ricapitalizzazioni, si parla di altri 80-90 miliardi, non si sa ancora se finanziati dal mercato, dal Governi o dall'Efsf, il Fondo Salvastati da 440 miliardi (che potrebbero salire a 2mila) , ora abilitato a intervenire a sostegno delle banche e non solo dei paesi in difficoltà. Deciderà il vertice Ue di domani o forse un altro che potrebbe essere riconvocato già mercoledì.
«Il problema è che, a partire dalla fine degli anni 90, il sistema bancario europeo si è troppo finanziarizzato. Lavorando per un terzo con l'economia reale e due terzi con quella finanziaria. Con Basilea 3 e il limite del 33% si dovrebbe però recuperare un ragionevole equilibrio», dice un esperto Ue che difende la valanga di aiuti erogati nonostante le inevitabili ripercussioni sulla tenuta del mercato unico: «Ci sarebbero stati molti più effetti negativi se gli aiuti non fossero stati dati». In effetti, l'attento regime di autorizzazioni di Bruxelles ha cercato di contenere le distorsioni di concorrenza. Inevitabili però, vista l'estrema disparità delle somme erogate alle banche del Nord Europa rispetto a quelle del Sud, viste le minori risorse di bilancio dei loro Governi.
«Ma siamo sicuri che questa mostruosa iniezione di capitali in banche, assicurazioni ed economia che ha portato alla sfascio dei bilanci pubblici, alla nazionalizzazione di fatto degli istituti di credito, alla fine delle privatizzazioni , sia la strada giusta da seguire?», controbatte un diplomatico europeo. «E poi chi l'ha detto che sarebbe solo il fallimento delle banche a provocare una crisi sistemica, tra l'altro quando le banche ormai finanziano poco l'economia?».
In effetti si parla tanto della "pessima" Grecia, non si esita a criminalizzarne le malefatte (innegabili) invocando e decidendo punizioni esemplari e dissuasive. Molto meno degli effetti e delle conseguenze che il salvataggio degli istituti di credito sta avendo sulla costruzione europea. Sulla sua stessa cultura.
Una volta non solo gli aiuti di Stato, ma anche le garanzie erano vietate per le banche nel mercato unico. Si promuovevano mercato e privatizzazioni insieme al ritiro dello Stato dall'economia oltre a bilanci pubblici sani. In nome dell'emergenza questa logica è stata di fatto completamente capovolta.
«La verità è che ormai siamo dominati dal pensiero economico e finanziario, abbiamo completamente dimenticato quello industriale», denuncia un alto funzionario. La verità però è anche un'altra. Questa Eurozona sempre più spregiudicata e intergovernativa sembra dimenticare che moneta e mercato unico devono procedere di conserva: se cominciano a traballare insieme, perché si capovolgono le regole che ne garantiscono la salvaguardia, prima o poi sarà anche l'Europa intera a saltare. Ma non sarà la Grecia a deciderne le sorti.
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