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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2012 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2012 alle ore 08:18.

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La Cina non è tuttavia soltanto un mercato per l'importazione di beni. Al contrario, per molti settori sono stati gli investimenti produttivi complessi a fornire le migliori occasioni per molte aziende.
I vantaggi che il Dragone può offrire sono imbattibili: basso costo dei fattori della produzione, stabilità politica, eccellente rete infrastrutturale, e la promessa di un mercato sterminato. E oggi, come dimostrano gli insediamenti della grande informatica americana (a partire dalla Apple) la Cina possiede anche una straordinaria "supply chain" che permette di produrre non solo a bassi costi ma con una rapidità, una perfezione e una flessibilità senza pari. Ecco perché la Cina è amica delle multinazionali, prima solo di quelle grandi, e ora anche di quelle operanti nei mercati di nicchia.

Infine, negli ultimi anni si è aperto un nuovo fronte di rapporti economici: gli investimenti cinesi all'estero. Questo sembrava impraticabile perché, secondo la dottrina, un Paese a medio reddito (come è ancora la Cina) non dovrebbe avere i mezzi finanziari per acquisire aziende in quelli industrializzati. Ma questi ultimi sono in crisi, bisognosi di liquidità, proprio mentre la Cina detiene una cifra astronomica di riserve (circa 3.400 miliardi di dollari). Nella recessione che investe il primo mondo, Pechino trova una scorciatoia in contanti per acquisire la modernità industriale della quale ancora ha bisogno. Compra aziende, terminali portuali, quote nelle utilities, titoli di stato.
È in questa complessa cornice che vanno individuate le opportunità per le aziende italiane. Non si tratta soltanto di scovare i settori che possono vendere in Cina ma di trovare per essi le migliori modalità di rapportarsi con il Dragone. È dunque un'operazione complessa. Un'azienda può vendere in Cina, investirvi, trovarvi l'assemblaggio dei propri prodotti. Può inoltre cedere i propri asset tecnologici o importare. È questo il risultato della globalizzazione e dell'evoluzione che ha fatto della Cina uno dei grandi protagonisti della stessa globalizzazione.

Un ventaglio di approcci è possibile perché la Cina è un Paese variegato: industrializzato e contadino, dove sacche di povertà si confondono con eccellenze produttive e il versante finanziario sta colmando i ritardi con l'economia reale. Le aziende italiane dovrebbero quindi attrezzarsi a operare nella complessità e nella più forte concorrenza, con la consapevolezza che ancora molto del nostro Paese è appetito dalla Cina. Le nostre competenze industriali, l'organizzazione produttiva, il rapporto con il territorio, lo sviluppo delle Pmi sono beni preziosi che dovremmo cercare di vendere più proficuamente. Con questo approccio il realismo si coniuga con l'ottimismo, perché la Cina non è satura di importazioni e soprattutto è lungi dal volere smettere di imparare.

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