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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 07:25.

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Pubblichiamo di seguito un estratto del libro La versione di Tosi, intervista al sindaco di Verona Flavio Tosi, da oggi in libreria Io e Bossi
Che cosa non ha funzionato fra lei e il Senatùr? Perché non vi siete mai presi?
Bella domanda. Ci sono due aspetti. Il primo è che io sono uno spirito libero.

Tendo ad ascoltare e a confrontarmi, però sono il sindaco di Verona e quindi alla fine prendo le decisioni in quanto sindaco di Verona e prendo quelle più utili alla città. Se il partito ha un'idea ma la città ne ha un'altra, io devo assecondare la seconda. Ora è evidente che in un partito si preferiscono gli allineati agli spiriti liberi. Il secondo aspetto è che, avendo tanto da fare, non bazzico la segreteria federale di Milano, come fanno invece altri, sistematicamente, solo per ingraziarsi il capo. Io sono uno che lavora sul territorio e vado a rompere le scatole agli organi superiori solo se è indispensabile. Questo ti fa percepire come più distante dal movimento. Inoltre, come dice il proverbio?

Dagli amici mi guardi Iddio, che ai nemici ci penso io. Se non sei molto presente nelle stanze centrali del movimento, qualcuno che ne approfitta per metterti in cattiva luce con Bossi c'è sempre. Nel mio caso è accaduto. Ma io me ne fotto. Tanto, alla fine, i conti tornano sempre. Chi si comporta bene e fa il suo dovere, non deve temere nulla. Come diceva Seneca, il tempo scopre la verità.

Il ciclone giudiziario
Si aspettava il ciclone giudiziario che s'è abbattuto sulla famiglia Bossi per le spese private sostenute utilizzando i rimborsi elettorali versati dallo Stato alla Lega?
In queste dimensioni e con queste modalità, no. Che la gestione familistica del partito prima o poi esplodesse, sì. Io sono fra i pochi che hanno avuto la temerarietà di uscire allo scoperto e di andare allo scontro frontale, ma in tanti non ne potevano davvero più, anche fra quelli che facevano finta di non vedere. Era evidente che Bossi subiva le pressioni quotidiane del clan che gli stava intorno. (...) Questi s'erano convinti che il partito fosse cosa loro. Ma il potere vero era concentrato nelle mani di Manuela Marrone e Rosi Mauro, che comandavano scavalcando il Consiglio federale. Quello che decidevano, diventava legge. Se Bossi non avesse avuto problemi di salute, non avrebbe mai candidato suo figlio, mai. Sapeva benissimo che era un errore madornale. Non è in questo modo che si fa carriera nella Lega.

La rivolta fiscale
È favorevole alla rivolta fiscale che l'onorevole Luciano Cagnin, capogruppo della Lega nella commissione industria del Senato, ha suggerito agli imprenditori del Nordest strangolati dalle tasse?

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