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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 08:01.

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L'imboscata scatterà oggi su YouTube, poi, da domani, sarà fenomeno globale sulle televisioni di 25 Paesi del mondo.

Marketing ambush dicono a Londra per definire, più o meno, quello che Nike promette di attuare con una campagna pubblicitaria destinata a far impallidire le polemiche di queste settimane sulla sponsorship dei trentesimi Giochi olimpici, ufficiosamente cominciati ieri con il football femminile, prologo alla cerimonia di apertura di domani sera. Nike non è sponsor olimpico, ma promette di rovinare la festa ad Adidas che ha pagato decine di milioni per piazzare il suo logo su scarpe e vestiti di London 2012, con un filmato che mostrerà al mondo quello che succede nelle decine di altre località del mondo chiamate London. Da London in Ohio, a Little London in Giamaica, a East London in Sudafrica. «Anche lì - Ryan Greenwoods responsabile della comunicazione di Nike nel Regno Unito - c'è gente che fa sport.

Vogliamo mettere l'accento sui semplici cittadini che si allenano». A Londra però, non a Milano. E non a caso. Il trucco è evidente: guadagnare la visibilità negata, o meglio, pagata, dal concorrente Adidas. Il sospetto non ha sfiorato Clearcast, l'authority britannica che ha benedetto lo spirito della pubblicità autorizzandone la diffusione.
La parola passerà, crediamo, al Locog, ovvero il comitato organizzatore dei Giochi presieduto dall'ex atleta Sebastian Coe, guardiano inflessibile dei diritti degli sponsor. Fu lui, una settimana fa, a mettere in guardia gli spettatori dal «non indossare marchi» in contrasto con l'armonica sinfonia dei finanziatori dei Giochi. Messi al bando anche i coccodrilli di una celebra marca di magliette francesi? Quasi.

La correzione di Seb è arrivata subito con qualche scusa e una precisazione: le imboscate di marketing perpetrate da batterie di giovanotti appositamente addobbati con brand non olimpici, non saranno sopportate. Una visione meno talebana dello spirito commerciale dei Giochi l'ha sollecitata il sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, thatcheriano e liberista, in sofferenza per l'atmosfera da reggimento che le norme dei Cinque Cerchi impongono alla open society britannica. «Buona fortuna a chi possiede un Olympic Cafè» , ha chiosato il sindaco fortemente infastidito, crediamo, dall'idea che centinaia di "guardiani del brand" siano in servizio permanente effettivo per le prossime settimane nella capitale.

L'angelo custode dello sponsor s'aggira, infatti, per Londra fasciato nella divisa disegnata da Stella Mc Cartney, inquietante combinazione di rosso e viola con reminiscenze stilistiche dell'album Sgt Peppers dei Beatles, in ossequio al di lei papà. Si muove leggiadro fra chioschi e negozi pronto a firmare una denuncia per "lesione di marchio" (fino a 20mila sterline). Poca cosa, crediamo, rispetto al botto che rischia di fare la campagna di Nike. Sul punto, alla Adidas, non si sbilanciano, ma precisano. «Noi - spiega Steve Marks uno dei portavoce del gruppo - siamo fra i maggiori sponsor del Locog, ovvero il comitato organizzatore locale. Ci sono tre livelli di sponsorship (5, 15, 30 milioni di sterline il contributo minimo a seconda della "categoria" d'appartenenza ndr). Se a Pechino Adidas forniva solo materiale che riproduceva il logo dell'evento, Beijing 2008, accompagnato dal logo aziendale, qui a Londra produciamo anche materiale senza più il logo aziendale, ma solo dell'evento.

È una fascia di mercato più bassa». Ma conveniente, tanto che è stata Adidas ad "assumere" Stella Mc Cartney per produrre la linea olimpica, incluse almeno 70mila paia di scarpe. Steve Marks non svela quanto abbiano pagato fra materiale donato e contante ora che sono nella prima categoria degli sponsor nazionali, ma i contributi al comitato organizzatore locale hanno garantito almeno 700 milioni di sterline, il 6% dei 12 miliardi di sterline circa che costeranno questi Giochi.
Cifra da sommare ai 957 milioni di dollari che pagano gli undici partner ufficiali delle Olimpiadi da Mc Donalds a Visa, da Samsung a Coca Cola, Omega, Procter Gamble, Panasonic, Acer, Atos, Dow, General Electric autorizzati a sfruttare a livello planetario l'associazione con i Cinque Cerchi. Gli sponsor locali, nei tre livelli di adesione, potranno invece associare sé stessi solo ai Giochi di Londra. Qualcuno aggira il problema sponsorizzando tutte le Olimpiadi a livello locale.

È il caso di Mondo che con Technogym è l'unica azienda italiana coinvolta nel finanziamento di Locog (molte altre a cominciare da Mapei fino a Bravo Solution hanno, però, fornito materiali ed expertise ai Giochi e a quanto fa da corollario all'evento olimpico). «Dal 1992 a Barcellona - precisa Andrea Vallauri direttore dell'export di Mondo - abbiamo sempre partecipato». E prevedono di continuare. Le Olimpiadi hanno trasformato l'azienda da fornitore di rivestimenti e pavimentazione all'unica impresa al mondo in grado di attrezzare interamente uno stadio sportivo. «I Giochi negli anni ci hanno garantito - aggiunge - sviluppo e credibilità». Lo stesso obbiettivo, in scala diversa, di Adidas se saprà sfuggire all'imboscata di Nike.

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