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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2012 alle ore 08:29.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2012 alle ore 09:01.

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L'effetto, soprattutto considerando la lunga storia di sentimenti antigiapponesi, fu una prevedibile ondata di violenza razzista, con azioni come la distruzione di macchine giapponesi. Anche il caso di Vincent Chin, un sino-americano pestato a morte perché scambiato per un giapponese, rievocava precedenti storici come un articolo pseudoscientifico su come distinguere i cinesi dai giapponesi pubblicato sulla rivista Life nel dicembre del 1941.

La situazione dell'India oggi è differente: in questo caso non ci sono precedenti storici sgradevoli ad alimentare il pregiudizio e la violenza. Ma all'odio, come a un cactus nel deserto, basta pochissimo per crescere rigoglioso.

Purtroppo l'amministrazione Obama ripete continuamente che l'outsourcing verso l'India è una delle principali cause del calo dell'occupazione in America. E anche il senatore di New York Charles Schumer si scaglia spesso e volentieri contro il Giappone, contro la Cina e contro l'India (dando prova di una truculenza e di un analfabetismo economico difficilmente eguagliabili), mentre la senatrice californiana Barbara Boxer nel 2010 attaccò la sua avversaria elettorale dell'epoca, Carly Fiorina, per aver ridotto di 30mila unità la forza lavoro della Hewlett-Packard durante il periodo in cui era amministratrice delegata dell'azienda. In realtà, in un mondo fortemente, competitivo, sacrificando quei 30mila posti di lavoro la Hewlett-Packard era riuscita a salvarne 150mila.

Nell'attuale campagna per le presidenziali, il Partito democratico attacca lo sfidante di Obama, Mitt Romney, proprio facendo leva su questi argomenti pretestuosi, con il supporto di media compiacenti che si adeguano a quella che di fatto è un'offensiva anti-indiana.

Il risultato è stato alimentare un risentimento contro l'India che occasionalmente sfocia in atti di violenza. Gruppi che si autodefiniscono dotbusters (più o meno "ammazza-puntini", dal punto rosso sulla fronte tipico delle donne indiane, ndt) prendono di mira le indiane. Quando ho scritto un articolo in difesa di una maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali e dell'immigrazione sono stato definito un "negro al curry".

L'amministrazione Obama non ha facilitato le cose addossando all'India la responsabilità del fallimento della tornata negoziale di Doha sugli scambi commerciali internazionali. Fuori dagli Stati Uniti è cosa nota che è stato proprio Obama a staccare la spina, a Doha. L'idea che «noi siamo aperti e gli altri sono chiusi», tanto amata da politici e media negli Stati Uniti (e che con l'attuale amministrazione è un puro e semplice articolo di fede) alimenta anche l'idea che Paesi come l'India siano dei concorrenti sleali, più o meno come i giapponesi negli anni 80.

Gran parte del mondo si aspettava un comportamento più illuminato da parte di Obama. Ma i risultati purtroppo, sono stati molto inferiori alle attese.

Traduzione di Fabio Galimberti

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