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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2012 alle ore 13:54.
L'ultima modifica è del 16 settembre 2012 alle ore 15:08.

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Per l'Fbi nessun volto è sconosciutoPer l'Fbi nessun volto è sconosciuto

In realtà quel sistema di sorveglianza globale della Nsa è vivo e vegeto. Anzi. «Sta crescendo ben oltre le aspettative di Poindexter ed è capace di raccogliere "detriti" digitali di ogni genere - email, sms, geo-ubicazione», sostiene Shane Harris, autore del libro Watchers: The Rise of America's Surveillance State. «In un angolo recondito del deserto dello Utah la Nsa sta costruendo una struttura di 93mila metri quadri per le macchine e il personale che gestirà il tutto».

Per avere un'idea delle capacità del programma della Nsa basti pensare a quelle di FinSpy, una versione molto meno sofisticata e potente sviluppata da Gamma Group, una società di software britannica. Già acquistato dal governo del Turkmenistan, FinSpy è un cosiddetto spyware, cioè un software di spionaggio in grado di infiltrarsi nei computer e negli iPhone dei propri bersagli, riuscendo a intercettare - o addirittura ad attivare - l'invio di dati, immagini e comunicazioni verbali.

La potenziale invasività di queste tecnologie non preoccupa solo chi, come Human Rights Watch, ritiene che il regime turkmeno sia «uno dei più repressivi al mondo». Segnali di disagio arrivano dallo stesso Congresso americano. Nel luglio scorso il senatore democratico del Minnesota Al Franken ha presieduto un'udienza in cui si è discusso del rischio che il programma di riconoscimento facciale dell'Fbi violi il quarto emendamento della Costituzione , quello che protegge i cittadini da perquisizioni o indagini "immotivate".

Ma Franken ha puntato il dito anche sul programma biometrico di Facebook. A preoccupare il senatore è in particolare il fatto che Facebook non chieda l'autorizzazione al "tagging" delle foto. Lo fa in automatico, a meno che l'utente non decida di tirarsi fuori. Nella sua deposizione il Privacy manager di Facebook Rob Sherman ha spiegato che «le persone vogliono far parte della comunità di Facebook per condividere informazioni tra loro. Chi non vuole condividere le foto ha l'opzione di escludere quella particolare funzione». Ma Franken è rimasto scettico: «Come possono gli utenti prendere una decisione ponderata se il fatto che usate tecnologie di riconoscimento facciale non è neppure pubblicizzato? Occorrono sei click per arrivare a scoprirlo».

Questa stessa problematica è stata sollevata anche in Europa. La piattaforma di cooperazione fra le autorità europee garanti della privacy, il Gruppo dell'articolo 29 sulla tutela dei dati, ha recentemente stabilito che «chi utilizza sistemi di riconoscimento facciale deve informare chiaramente gli utenti sulle caratteristiche del servizio… e ottenere il loro preventivo consenso in caso di taggatura».

Poiché la sede operativa europea di Facebook è in Irlanda, il garante di Dublino si è fatto carico di aprire un fascicolo sull'automatismo del tagging delle foto degli utenti. Facebook ha risposto sospendendo a partire dal primo luglio scorso la funzione automatica per tutti i nuovi utenti europei. Ma non ha fatto nulla per chi è membro da prima. E per questo a metà agosto il garante tedesco, Johannes Caspar, ha deciso di aprire un procedimento per violazione della privacy dei suoi cittadini. Caspar chiede che Facebook distrugga la sua intera collezione di fotografie di cittadini tedeschi finora accumulate e taggate.

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