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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2012 alle ore 07:57.

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Mantenendo perciò la prospettiva europea, è evidente che i fondi sono minimi rispetto ai progetti per "Europa 2020" e a quelli per le infrastrutture prefigurati dalla Commissione in varie migliaia di miliardi di euro sui quali ci siamo spesso intrattenuti. Inoltre la ripartizione dei (piccoli) importi di spesa è discutibile.
Consideriamo un fondamentale settore di spesa o meglio di investimento: quello della ricerca e sviluppo (R&S) della Ue (Stati e Comunità). La "Strategia di Lisbona del 2000" aveva fissato un obiettivo del 3% di investimenti in R&S entro il 2010 che è stato mancato perché siamo al 2%. Con "Europa 2020" l'obiettivo è confermato nella consapevolezza che ricerca e innovazione sono prioritari nella Ue per la crescita e l'occupazione. Nei programmi, questi investimenti dovrebbero creare 3,7 milioni di posti di lavoro al 2020 e aumentare il Pil annuo di 800 miliardi di euro a regime nel 2025. Sarebbero buoni risultati ma per raggiungerli i programmi della Ue e di vari dei suoi Stati sono troppo deboli. Vediamo perché.

A livello comunitario è stato predisposto il programma "Horizon 2020" da finanziare sul Qfp per 80,2 miliardi per Università, centri di ricerca e imprese e come catalizzatore di ulteriori investimenti dei singoli Stati. "Horizon 2020" si colloca poi nello "Spazio europeo della ricerca" per potenziare a livello comunitario gli investimenti in R&S. La qualità del progetto comunitario è molto buona ma gli investimenti sono piccoli (11,4 miliardi annui ovvero il 0,09% del Pil 2011)anche se venissero aggiunti davvero 60 miliardi di fondi strutturali. È vero che a livello comunitario si dà un impulso ma poi sono i singoli Stati con i loro operatori pubblici e privati che devono investire nella R&S. Questa tesi non è però convincente anche perché due ulteriori problemi rendono la Ue molto debole: dispersione e competitori.
La dispersione è quella tra Stati della Ue per la spesa in R&S. La Germania è al 2,84% del Pil che equivale a una spesa procapite di 900 euro all'anno. L'Italia è all'1,25% del Pil con una spesa procapite di 325 euro all'anno. A valori del 2011 l'Italia, per arrivare al 3%, dovrebbe investire circa 47 miliardi di euro all'anno invece degli attuali 19 miliardi. Questi sono obiettivi impossibili per il nostro Paese perché la R&S non è una priorità dei Governi italiani che non danno neppure adeguati incentivi a imprese e operatori privati.

I competitori sono gli Usa e il Giappone con la Cina che si avvicina. A dati 2009, gli Usa investono in R&S il 2,87% del Pil, il Giappone il 3,36%, la Ue il 2% che equivale a 474 euro procapite. Circa la metà di quanto investono sia Usa che Giappone. Per evitare il declino europeo, i Governi degli Stati membri e le istituzioni della Ue o meglio quelle della Uem che hanno approvato un ferreo fiscal compact dovrebbero cercare di bilanciarlo con un vero e concreto accordo per crescita centrandolo sulle infrastrutture e sulla scienza i cui effetti sono notoriamente multisettoriali e diffusivi. Perché il rigore di bilancio non regge senza gli investimenti e lo sviluppo.

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