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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2012 alle ore 14:02.

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La libertà di amministrare sé stessi, insistono a Londra, paga. All'apparenza, forse. Soprattutto se l'alternativa non fosse più una partecipazione a mezzo servizio - fuori dall'euro, fuori da Schengen, fuori dalla cooperazione giudiziaria, fuori dalla futura unione bancaria, fuori magari dalle regole sul mercato del lavoro- ma fuori da tutto. I costi della non Europa per la Gran Bretagna sono un esercizio demagogico perché nessuno sa fissare una cifra. Tutti sanno essere enorme, ma quanto enorme è materia di pura divagazione. Dipende dalle modalità dell'uscita. Se la via fosse quella norvegese o svizzera i danni sarebbero contenuti, ma se fosse traumatica e prevalesse lo scenario più radicale e doloroso il prezzo sarebbe devastante.

La convivenza part time, invece, promette un rapido dividendo. Citigroup prevede per l'eurozona una contrazione dello 0,7% nel 2013, ma è moderatamente bullish per il Regno Unito con un più 0,8%. Altri ancor più generosi s'allineano all'1,2 del Tesoro. Numeri difficili da comprendere - la forchetta fra il calo Ue e l'espansione UK è ampia - se si considera che metà dell'interscambio commerciale britannico è con l'Unione, nonostante la propaganda del Governo annunci un inesistente aggiustamento del trading a favore di Brics, Next Eleven e quanti altri s'allineano nel corridoio dello sviluppo. Londra aspira, in effetti, a sfondare su nuovi mercati per dare un destino a beni e servizi che la domanda interna e la domanda europea non trovano più. Esercizi per un addio senza alcun esito a dar retta alle statistiche del commercio che confermano quanto l'abbraccio euro-britannico sia stretto e per Londra ssolutamente vitale.

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