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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2012 alle ore 08:55.
L'ultima modifica è del 18 dicembre 2012 alle ore 09:48.

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Lo stesso vale per l'impegno a decidere entro la prima metà del 2013 le modalità operative attraverso le quali il fondo salva Stati Esm potrà ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito, spezzando così il legame perverso tra crisi delle banche e crisi del debito sovrano, che rischia di trascinare alcuni Stati membri al collasso.
Non dobbiamo però farci illusioni. Il raggiungimento di un accordo politico non è di per sé risolutivo. Troppe volte abbiamo constatato con mano l'esistenza di rischi attuativi. Non è raro che a un buon accordo preso in sede europea segua un'attuazione al ribasso.

Sul meccanismo di vigilanza comune il compromesso raggiunto è senz'altro soddisfacente: non solo contempera la necessità di assicurare un controllo della Bce su tutti gli istituti bancari con una proporzionalità improntata al realismo, ma fa leva sul patrimonio di professionalità esistenti nelle autorità di vigilanza nazionali, creando un network simile a quello che opera nella politica europea della concorrenza. Occorre ora che l'accordo sia reso pienamente operativo in tempi brevi mettendo da parte gli interessi nazionali nell'interesse comune.
Le misure volte a rafforzare le istituzioni europee e a salvaguardare l'euro non bastano però a restituire la fiducia e a uscire dalla crisi. È tempo di agire in maniera altrettanto decisa per rilanciare la crescita economica.
L'industria europea è impegnata a fornire il suo contributo ma i Governi devono creare le giuste condizioni affinché le imprese possano continuare a scommettere sull'Europa.

Negli ultimi decenni la quota del settore manifatturiero nel Pil di molti Paesi Ue è calata mentre sono aumentate le delocalizzazioni produttive verso le economie emergenti. Quattro anni di crisi hanno falcidiato del 10% la produzione industriale Ue distruggendo più di 3 milioni di posti di lavoro mettendo a dura prova diversi sistemi economici e sociali.
Una solida base industriale resta fondamentale per stimolare la ripresa economica e rafforzare la nostra competitività globale. Nonostante il declino, l'industria manifatturiera continua infatti a contribuire per circa il 16% alla formazione del Pil europeo, all'80% delle export e degli investimenti privati in ricerca e innovazione, al 35% dell'occupazione.
Bene hanno fatto, dunque, i ministri dell'Industria di Italia, Germania,Francia,Spagna e Portogallo a ricordare, pochi giorni fa, che l'Europa ha più che mai bisogno che sia la sua economia reale a guidare la ripresa attraverso una base industriale forte e all'avanguardia. Non ci sarà sviluppo senza una convincente politica industriale europea. Che deve evitare di creare ostacoli inutili alle imprese con l'iper-regolamentazione o nuove norme in aree come, tra le altre, quella ambientale.

Fondamentali saranno anche le decisioni sul bilancio pluriennale europeo 2014-20, perché il successo di una nuova strategia industriale non può prescindere da un finanziamento adeguato. Per questo non sarebbe saggio né lungimirante privilegiare le pur importanti politiche agricole e strutturali a scapito di quelle per la competitività e per la crescita. Purtroppo invece i segnali per ora vanno proprio in questa direzione.
La lezione di questo 2012, per concludere, ancora non rassicura del tutto ma è stata molto più positiva di quanto non ci si aspettasse quando l'anno è cominciato. Non dobbiamo disperdere il capitale di progressi e riforme fin qui accumulato. Bisogna agire e presto perché il mondo globale non starà ad aspettarci. E la posta in gioco è troppo alta per poterci permettere il lusso di perderla.

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