Il Sole 24 Ore
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12 gennaio 2013

In difesa dei tirocini formativi

di Elsa Fornero


Caro direttore,
nel suo intervento sul Sole 24 Ore del 5 gennaio ("I troppi rischi di una scelta che può rivelarsi inadeguata"), Michele Tiraboschi, già influente e apprezzato consulente del ministero del Lavoro nel precedente Governo, esprime un sostanziale disaccordo sulle linee-guida in materia di tirocini formativi e di orientamento, in corso di approvazione in seno alla Conferenza Stato-Regioni (ai sensi dall'art. 1 della legge di riforma del mercato del lavoro).

L'articolo declina essenzialmente quattro ordini di critiche.
In primo luogo, si paventa che, in considerazione delle "nuove rigidità del mercato del lavoro" introdotte dalla recente riforma, i tirocini formativi possano divenire una sorta di "comoda via di fuga", volta ad aggirare di fatto il "sostanziale giro di vite" imposto alle tipologie contrattuali flessibili, anche vanificando l'auspicato rilancio dell'apprendistato. Questa "fuga verso lo stage" determinerebbe rischi di vuoti disciplinari specialmente nelle regioni sfornite di adeguato sistema normativo.

In secondo luogo, si critica il metodo poco partecipativo che avrebbe caratterizzato l'iter di adozione delle linee-guida e, in particolare, l'inadeguato livello di coinvolgimento delle parti sociali. Si sarebbe, in particolare, omesso di considerare che qualunque disciplina in materia dovrebbe prendere le mosse dal "pieno e convinto consenso delle imprese chiamate ad ospitare i tirocinanti".

In terzo luogo, si critica la scelta (propria della legge) di introdurre "una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta". Si tratterebbe, secondo l'autore, di una sorta di falso rimedio contro la piaga del lavoro gratuito che non risolverebbe i problemi sul tappeto, ma ne creerebbe anzi di nuovi, determinando una sorta di "spiazzamento" dell'apprendistato e una impropria assimilazione fra le finalità formative tipiche degli stages e vere e proprie "prestazioni lavorative", alle quali si farebbe addirittura riferimento nella legge di riforma.

Infine, l'intervento in esame sarebbe affetto da un vizio di fondo, perché trascurerebbe il fatto che, nell'ambito di un tipico rapporto di tirocinio, il vero corrispettivo per il beneficiario è rappresentato dalla formazione ricevuta, mentre qualunque dazione economica (diversa da un mero "rimborso spese") costituirebbe un elemento di fatto antisistemico.

Pur nel rispetto di queste opinioni, mi permetto di non condividerne la ratio di fondo.
Quanto alla prima critica, essa mi sembra così sintetizzabile: se la legge di riforma ha inteso contrastare la "flessibilità cattiva", che divora le aspettative di lavoro delle giovani generazioni, e se alcuni imprenditori disonesti, messi "all'angolo" da norme rigorose, tentano ulteriori escamotages per avvantaggiarsi indebitamente della debolezza delle giovani generazioni, la colpa è della legge, priva di sufficiente realismo.

Dissento profondamente. La legge di riforma persegue un obiettivo corretto (il contrasto agli effetti perversi della c.d. "flessibilità in entrata") e voglio continuare a sperare che sia possibile immaginare un Paese in cui la colpa di un fenomeno deteriore sia addebitata a chi quel fenomeno ha determinato (e non a chi ha tentato di contrastarlo). Il Governo non può, peraltro, ignorare che la materia è demandata alla potestà legislativa delle Regioni (alcune delle quali assai poco virtuose nel dotarsi di adeguati sistemi normativi) e tale situazione dovrebbe essere ben presente all'autore.

Naturalmente non posso essere d'accordo neppure con la seconda critica, ossia con il presunto "mancato coinvolgimento delle parti sociali nella redazione delle linee guida". Al Governo in carica è stato spesso rimproverato di aver imposto le riforme attraverso il sistematico ricorso alla decretazione d'urgenza e ai voti di fiducia; la legge di riforma del mercato del lavoro, tuttavia, è stata preceduta da lunghi e articolati confronti con le parti sociali e (caso pressoché unico nella legislazione degli ultimi anni) ampiamente discussa ed emendata in Parlamento, e anche il contenuto delle linee-guida ha costituito nel mese di dicembre l'oggetto di due incontri con le parti sociali.

Per quanto riguarda il terzo argomento è semplicemente scorretto affermare che la legge di riforma si riferisca agli stages parlando in modo testuale di vere e proprie prestazioni lavorative. Si stabilisce invece "una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta": la nozione di "indennità" nulla ha a che vedere con una controprestazione di parte datoriale (nella sostanza un mero rimborso spese) e la nozione di "prestazione" non fa riferimento ad una prestazione di tipo lavorativo, ma viene chiaramente riferita all'attività di formazione tipica del tirocinante.

Sotto questo aspetto, il contenuto delle linee-guida è assai più prossimo a quanto auspicato dall'autore di quanto sembra emergere dall'articolo. Del resto mi sembra difficile negare che il ben ridotto importo di 300 o 400 euro sia piuttosto qualificabile come mero rimborso spese e non possa in alcun modo essere assimilato a una retribuzione degna di questo nome.

Questa è la ragione per cui neppure la quarta critica è accettabile: se si può concordare sul fatto che il vero arricchimento per il tirocinante è rappresentato dalla formazione ricevuta, negare pregiudizialmente qualunque (pur minima) gratificazione economica equivale - ancora una volta - a orientare qualunque nuova scelta normativa in senso contrario all'equità.

Ministro del Lavoro e delle politiche sociali
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12 gennaio 2013