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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2013 alle ore 07:41.

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Una soluzione cooperativa nell'arena inedita dell'economia globale non è prevedibile. Il coordinamento del G-20 ha potuto stabilizzare i rapporti tra Usa ed Europa, cruciali dal punto di vista finanziario, ma ha lasciato squilibrati quelli con altri Paesi, finanziariamente meno importanti, ma molto influenti nell'economia globale: Cina ovviamente, ma non solo. Giappone, Svizzera, Israele, Singapore, Taiwan, Malesia, Tailandia, Norvegia, Russia, Arabia Saudita e gli altri Paesi produttori di petrolio. In tutti questi Paesi i surplus commerciali vengono aumentati da pratiche valutarie non cooperative.
In teoria per avere equilibrio globale, i surplus e i deficit commerciali dovrebbero discendere dai differenziali di rendimento degli investimenti. I Paesi industriali dunque dovrebbero accumulare surplus commerciali da investire nei Paesi in via di sviluppo dove i rendimenti sono più elevati. Ma come è noto quello che succede è il contrario. I nuovi Paesi ad alta crescita accumulano avanzi tenendo basso il tasso di cambio.

La domanda interna finisce per scendere in tutto il mondo. Negli Usa e in Giappone, giunti al limite della possibilità di utilizzo della politica di bilancio, non è rimasto che usare lo stimolo monetario. La Fed ha aumentato la liquidità finanziaria negli Usa dapprima per superare la Grande recessione e poi per recuperare i posti di lavoro persi attraverso il disavanzo del commercio estero. Il Giappone da ieri farà lo stesso.
Sia nelle vecchie economie, sia in quelle nuove, manca ormai solo un passo alla «manipolazione del tasso di cambio» che i membri del Fondo monetario devono evitare in misure tali da «aggiustare i saldi di bilancia dei pagamenti o allo scopo di ottenere vantaggi competitivi». Il Fondo monetario dovrebbe essere la sede che impedisce comportamenti simili, ma dal 1978, da quando si è adottata la definizione di «manipolazione del cambio» mai alcun Paese è stato dichiarato reo di violare l'impegno. Tanto meno alcun Paese è mai stato sanzionato.

In questo contesto privo di un arbitro globale, che cosa farà la Bce? Contrariamente a quanto si dice, Francoforte non ha ancora seguito la strada della Fed e del quantitative easing. L'aumento del bilancio della Bce, in particolare l'acquisto di titoli, ha corrisposto finora alla sola necessità di sostituire mercati del credito che non funzionavano più. Quindi margini di allentamento monetario o di quantitative easing nell'eurozona sono ancora tutti disponibili. Ma la possibilità di ricorrervi dipende dal consenso politico – che come dimostra l'allarme preventivo di Weidmann – è ancora remoto. È possibile che non ci si arriverà prima che i Paesi in difficoltà, quelli che più beneficerebbero da un allentamento quantitativo da parte della Bce, abbiano dato prova di aver reso permanente il proprio risanamento strutturale e sostenibile il processo di riequilibrio finanziario. Il primo test, nemmeno a dirlo, riguarda l'Italia, a cavallo di una campagna elettorale in cui questo tema appare ovviamente marziano.

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