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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 07:52.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2013 alle ore 08:23.

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Il primo documento che li riguarda entrambi è un fax che il 16 febbraio 1999 il capo della divisione legale di Bms Europa inviò a uno dei suoi assistenti per fornire «il quadro d'insieme dei rapporti con la Menarini» e «le informazioni necessarie a soppesare la situazione e a partecipare ai relativi colloqui con… Lamberto Andreotti». Pochi mesi prima, il figlio dello storico uomo politico era appena stato nominato capo della controllata italiana del gruppo, la Bms Srl, e avrebbe dovuto incontrarsi con il suo principale socio commerciale in Italia, Alberto Aleotti.

«Gli accordi con la Menarini sono antichi e penso questo sia dovuto in parte allo stretto rapporto di lavoro sorto fra l'ex direttore generale Guido Porporati e il presidente della Menarini A. Aliotti (sic) e in parte alla capacità che aveva un'azienda italiana di assicurare prezzi accettabili… visti i parametri dettati dai meccanismi di prezzatura vigenti al tempo in Italia», scriveva l'avvocato A.J.W. Jackson.

Il significato di queste parole è reso meno oscuro da documenti che i Nas fiorentini hanno sequestrato negli uffici della Menarini e della Bms Srl. Da questi risulta che per ogni nuovo farmaco da introdurre nel mercato italiano, il gruppo americano prima firmava un accordo di co-commercializzazione nel mercato nazionale con la Menarini e poi affidava ad Aleotti il compito di gestire la procedura di autorizzazione e definizione del prezzo con le autorità sanitarie. Quest'ultimo usava la propria influenza per ottenere una corsia preferenziale e soprattutto strappare il prezzo più alto possibile sia per il farmaco che avrebbe commercializzato la sua Menarini sia per l'equivalente venduto da Bms.

Il tipo di "influenza" in questione è venuto alla luce in un procedimento penale del tribunale di Napoli per il quale ad Aleotti è stata applicata la pena di un anno e sette mesi di reclusione. Motivo: aveva pagato diversi funzionari del ministero della Sanità - incluso il ministro Francesco De Lorenzo - perché compissero «atti contrari ai propri doveri d'ufficio e consistenti nell'assicurare… una trattazione privilegiata alle pratiche relative ai farmaci».

Più in dettaglio, la sentenza spiega che «Aleotti, titolare dell'industria farmaceutica Menarini, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, consegnava a Vittoria Antonio, componente del Cip farmaci, organismo preposto alla trattazione delle pratiche di revisione prezzi dei prodotti farmaceutici, la somma complessiva di 60-70 milioni circa». Ben più sostanzioso il contributo versato al famoso Duilio Poggiolini che, secondo la sentenza, ricevette da Aleotti un totale di 1 miliardo e 100 milioni di lire nella sua veste di direttore generale del Servizio Farmaceutico del Ministero della sanità.

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