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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 07:52.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2013 alle ore 08:23.

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Oltre ai soldi, in quell'inchiesta Poggiolini rivelò ai magistrati di aver ricevuto anche le pressioni di molti uomini politici, intervenuti per tentare di influenzare le decisioni del ministero della Sanità. Tra questi citò anche Giulio Andreotti. Il quale è passato agli annali della storia dell'industria farmaceutica italiana per essere stato Presidente del consiglio nel maggio 1978, quando il Governo riconobbe per la prima volta i brevetti farmaceutici.

Dalla sentenza del procedimento napoletano emerge inoltre che a pagare il ministro De Lorenzo era stato anche il direttore generale di Bms Srl, Guido Porporati. Che aveva versato 300 milioni di lire per conto della sua e di altre aziende farmaceutiche nordamericane.

Sebbene quelle tangenti siano state versate negli anni '80 e primi '90, secondo la Procura di Firenze il loro impatto sui consumatori e sul servizio sanitario nazionale si è protratto per l'intera durata del brevetto di ogni farmaco. E cioè per due decenni.

Dalla corruzione alla sospetta truffa: gli inquirenti ritengono che per ottenere prezzi più alti del dovuto, Menarini e Bms abbiano perpetrato una sistematica opera di sovrafatturazione dei cosiddetti "ingredienti attivi", le sostanze chimiche alla base dei farmaci. Il metodo è consistito nel creare una rete di intermediari fittizi con sede nell'Isola di Man, in Svizzera, Nuova Zelanda e Honk Kong, attraverso i quali Bms ha fatto per decenni transitare i propri prodotti all'ingrosso. Da questi intermediari che i Nas hanno ritenuto essere stati controllati dallo stesso Aleotti, gli ingredienti attivi venivano poi rivenduti al gruppo Menarini a prezzi gonfiati poi presentati all'autorità sanitaria a riprova del costo di produzione dei farmaci.

Secondo i sostituti di Firenze, Guido Porporati avrebbe «fornito il proprio consapevole contributo causale alla commissione del descritto reato di truffa aggravata e continuata, nell'interesse della società italiana Bms Srl». E, per via della durata dei brevetti, la truffa in questione avrebbe avuto «una consumazione prolungata dal 1984 al 2010».

Il Sole 24 Ore ha chiesto a Bms di rispondere, ma il gruppo farmaceutico americano si è limitato a dire di non poter fare commenti su un'inchiesta in corso, sottolineando però il fatto che sta collaborando con le autorità.

Lamberto Andreotti non è in alcun modo coinvolto nell'inchiesta giudiziaria fiorentina, ma il fax del 16 febbraio 1999 fa dedurre che fosse stato messo al corrente degli accordi di sospetta sovrafatturazione tra Bms e Aleotti: «Per ragioni a voi comprensibili associate… a meccanismi di determinazione del prezzo, i prodotti non sono forniti direttamente alla Menarini ai prezzi indicati», si legge nel fax. «Ci sono invece degli accordi che designano società terze deputate a interporsi nella catena di compravendita di materiale all'ingrosso o di specifici prodotti intermedi».

Negli archivi della Menarini, i Nas hanno trovato un memorandum dal quale risulta che, poco dopo la spedizione di quel fax, in effetti Andreotti incontrò il proprietario della Menarini. I loro nomi sono citati in un promemoria interno come "presenti" all'incontro organizzato con «l'intento di mantenere gli impegni per il futuro al di là delle persone che saranno il riferimento» e per «andare al di là dei rapporti personali passati, per garantire la continuità».

«La Bms aveva piena consapevolezza del sistema di approvvigionamento creato con la Menarini», ci conferma un ex alto dirigente di Bms Srl. «Io stesso tenevo due libri contabili, uno ufficiale che riportava i prezzi maggiorati degli ingredienti attivi e dei prodotti all'ingrosso in modo che potessero poi essere dedotti a fini fiscali in Italia, e uno a scopo interno, condiviso solo con il quartier generale di New York, che serviva a stabilire le performance infra-gruppo. E, cosa ancor più importante per noi, per i bonus di fine anno».

Nel giugno del 2011 Alberto Aleotti ha saldato con la cifra record di 330 milioni di euro il contenzioso che aveva aperto con l'Agenzia delle Entrate dopo che gli erano state accertate imposte evase per circa mezzo miliardo. E adesso è sotto processo presso il Tribunale di Firenze per truffa aggravata ai danni dello Stato.
Lamberto Andreotti e la sua Bms se la sono invece cavata con molto meno: una multarella da 18 milioni.

cgatti@ilsole24ore.us
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