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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 06:43.

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C'è una tradizione pietista nell'esercizio educativo degli altri attraverso severi controlli, ma ci sono anche la prevalenza di una logica economica e il vuoto di passione per la politica che affliggono il progetto europeo. È in fondo il desiderato ribaltamento della visione di Werner Sombart secondo cui la Germania si distingueva dalla cultura inglese per la quale i mercanti prevalgono sugli eroi. Ma c'è anche la maledizione temuta da Max Weber: cedere il passo al romanticismo dei numeri da parte di un popolo che il sociologo vedeva invece incline alla metafisica, alla pedagogia e alla musica. «Non è un popolo orientato alla politica, ma alla morale». Nell'era Merkel è la stabilità dei propri interessi a coincidere con l'esercizio del potere e a prevalere sulla morale. E questo genere di passione fredda piace agli elettori.

La questione dei valori viene soffocata dalla relativa sicurezza dell'economia tedesca rispetto a quelle che la circondano: relativismo economico appunto. Progressivamente questa lettura dei fatti ha creato un senso di estraneità ingiustificato dalla crisi e dalle sue origini. La convinzione di aver fatto tutto giusto tocca livelli paradossali. Nel piano di riforma nazionale presentato alla Commissione europea quest'anno, il governo tedesco commenta che tutte le riforme necessarie sono state compiute tranne forse la liberalizzazione della professione di spazzacamino. A Bruxelles, dove si aspetta e spera un rilancio della domanda interna tedesca attraverso le riforme del mercato dei servizi, qualcuno ha pensato che Angela Merkel, convinta di aver messo in ordine ogni cosa schioccando le dita, fosse ormai affetta dalla sindrome di Mary Poppins.
Una forma di miopia che corrisponde a un sentimento di Innerlichkeit, di sguardo rivolto al proprio interno, che fa parte della cultura tedesca. Non c'è campo in cui questo sentimento di introversione sia più evidente che nella politica estera dove Berlino spicca per mancanza di condivisione di responsabilità con la comunità internazionale. Ma anche in Europa, circondata com'è da leader velleitari, deboli o incoerenti, Berlino accetta la propria diversità come una coerenza di fatto.

Merkel, solitaria, forte, intelligente, sospettosa, refrattaria ad aprirsi perfino con i suoi collaboratori, è il leader ideale per questa nuova introversione tedesca. Un autocompiacimento che però rischia di rendere i nuovi mercanti solo una versione prosaica dei vecchi eroi guerrieri.