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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 15:07.

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Non fraintendetemi, Summers è un economista estremamente brillante, con una capacità retorica eccezionale. Ma queste qualità non bastano a farne il miglior candidato. Un banchiere centrale necessita innanzitutto di una buona capacita di giudizio. Deve saper misurare le proprie parole, perché anche il suo più piccolo gesto può influenzare i mercati. E deve saper creare consenso, perché fratture nel consiglio della Fed creano instabilità.

Summers ha dei problemi su tutti e tre questi fronti. Da capo economista della Banca mondiale ha fatto circolare un memo in cui si suggeriva che l'inquinamento si poteva risolvere trasferendo i rifiuti tossici dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, dove il costo dell'inquinamento sarebbe inferiore perché il valore economico di una vita umana, misurato con i guadagni percepiti, è inferiore. Summers si difese dicendo che era una provocazione intellettuale, ma, anche fosse, non dimostra oculatezza di giudizio. Come presidente dell'università di Harvard Summers sostenne che la scarsa presenza di donne nei dipartimenti scientifici era dovuta a una maggiore varianza delle capacità intellettuali maschili: ovvero ci sono più ritardati tra gli uomini, ma anche più geni. È una tesi controversa, che un presidente di un ateneo non dovrebbe sostenere senza aver fatto studi specifici in materia (e lui non li aveva fatti). Summers è più bravo a creare dissenso che consenso: si dovette dimettere da presidente di Harvard a metà mandato per una rivolta dei professori.

Dati tutti questi problemi, perché Summers è ancora considerato un candidato plausibile, anzi spesso il favorito? L'interpretazione più plausibile è che le pressioni per Summers vengano da Wall Street e dalla lobby bancaria, che vede con terrore Janet Yellen. Come presidente della Fed di San Francisco la Yellen non ha mostrato alcuna indulgenza nei confronti della banche. Suo marito, il premio Nobel per l'Economia George Akerlof, è uno dei più severi critici dello strapotere politico delle banche. Né le banche né Wall Street possono aspettarsi da lei alcun favore.
Summers invece è il D'Alema americano: un uomo di sinistra radicale che si è innamorato del mondo finanziario. Da giovane Summers criticava gli eccessi della speculazione ed era a favore di un'imposta sulle transazioni finanziarie. In età matura, invece, è diventato un sostenitore della deregolamentazione finanziaria, consulente ben retribuito di banche e hedge funds, ed accanito difensore dei derivati anche di fronte alle critiche molto moderate sollevate dal mio coautore ed ex-collega Raghu Rajan (oggi governatore della banca centrale indiana). Summers è anche il pupillo di Robert Rubin, il segretario del Tesoro di Clinton, che fece cambiare la legge bancaria per Citigroup e poi, un mese dopo le dimissioni da Segretario del Tesoro, si fece assumere da Citigroup per $13 milioni all'anno. Summers ricalca le orme del suo maestro: come consulente economico di Obama ha sostenuto le politiche che hanno permesso a Citigroup di non fallire durante la crisi finanziaria. Appena lasciata l'amministrazione, è diventato consulente di Citigroup.

L'attenzione dei mercati è focalizzata sulla politica monetaria dopo Bernanke. Summers e Yellen non differiscono molto su questo fronte. La vera posta in gioco, però, è la supervisione bancaria dopo l'approvazione della riforma Dodd Frank. In questo campo io mi sentirei più tranquillo con Yellen. E non capisco come Obama possa pensare altrimenti. A meno che non faccia parte anche lui del Pd italiano.

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