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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 14:20.

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Se gli Usa perdono la leadership mondiale

L'idea di fondo della politica repubblicana al Senato è quella che vede nei Trattati internazionali un'indebita interferenza, che indebolisce la sovranità e il processo democratico, permettendo agli Stati stranieri di creare leggi che vincolano gli Stati Uniti. Viene così a cadere qualunque autorevolezza, perché una leadership americana possa continuare.
E' così che lo Statuto di Roma del 1998 che ha istituito la International Criminal Court non è stato ratificato dal Senato degli Stati Uniti, come non l'ha ratificato - unico altro Paese della Nato - la Turchia.

Non diverso discorso potrebbe essere fatto per i problemi post Kyoto. La politica estera basata su un incerto multilateralismo lascia aperte molte soluzioni globali che solo i Trattati internazionali possono invece garantire. Ne è una conferma evidente l'ultima sconfitta della politica estera americana nel grave problema della Siria.

Questo complesso quadro rende, soprattutto nella difesa dei diritti umani, sempre meno credibile una leadership americana, quando nei gravi momenti di crisi le strutture democratiche del Paese e i diversi interessi in gioco impediscono politiche precise e ad ampio respiro.

Viene oggi da ricordare la situazione, oggettivamente per molti versi simili nella quale è nato il New Deal roosveltiano e la storica versione che ne ha proposto, nel suo ponderoso volume, Ira Katznelson: Fear Itself: The New Deal and The Origins Of Our Time. La Grande Depressione di quegli anni presentò una minaccia esistenziale alla democrazia liberale in ogni Paese. Le reazioni dittatoriali europee in risposta si palesavano come facile soluzione, tant'è che rimase famoso il consiglio dato da Walter Lippmann a Roosvelt un mese prima che diventasse presidente: "probabilmente non può avere altra alternativa che assumere poteri dittatoriali". La conclusione che Katznelson non esita a trarre è che il New Deal ha fatto due patti faustiani, uno con l'Unione Sovietica di Stalin e l'altro con il partito democratico del Sud, per precise ragioni storiche, legate al segregazionismo e ad una cultura marziale che aiutò poi il trasferimento dei poteri dal Congresso al governo federale. Questi poté così preparare indisturbato un piano economico centralizzato e attrezzarsi per l'intervento nella seconda guerra mondiale, invocando indirettamente lo stato di eccezione, ma mantenendo infine la democrazia americana pur degradandola agli accordi faustiani sopra indicati.

Questa fragile leadership americana potrebbe dare spazio, dopo le recenti elezioni tedesche, a una Germania unita in un'Europa unita, come proponeva il Cancelliere Kohl. Un'unità politica europea, e non solo monetaria, si presenta oggi punto di passaggio per la creazione di un diritto cosmopolitico globale - unico baluardo mondiale per la difesa dei diritti umani - e un'auspicabile soluzione alla caduta della leadership americana. Il problema vero è che la cancelliera Merkel riesca a superare le contraddizioni interne e a imporre le visioni europeiste del suo predecessore e maestro Helmut Kohl.

L'unica ipotizzabile diversa alternativa di una convergenza fra le due maggiori potenze, Stati Uniti e Cina, in competizione più per il loro status che per le loro ideologie, può diventare terreno di aspri conflitti. In verità quell'entità che Ferguson e Schularick hanno chiamato "chimerica", con la crisi del 2008 sembra definitivamente scomparsa. E la concorrenza cino - americana può lasciare intravedere più che un pacifico contrasto ideologico, un vero pericoloso conflitto di potere.

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