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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 13:31.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 15:10.

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Forse più diplomatico, ma per nulla dissonante, è il giudizio espresso nel documento di Generali intitolato "Sintesi degli esiti delle indagini in materia di investimenti alternativi": «A ben vedere, sussistono alcuni indizi che parrebbero confermare una (peraltro ben celata) intenzione del top-management di prestare assistenza finanziaria a certi imprenditori… allo scopo di favorire l'acquisizione di "azioni proprie" . Infatti il veicolo Ferak Spa, che ha investito in azioni AG, è stato costituito nel 2007, proprio quando sono stati attuati gli investimenti in questione».

Un terzo parere raccolto da Il Sole 24 Ore è quello del senatore Pd Massimo Mucchetti, il quale oggi presiede la Commissione Industria ma che in veste di giornalista è stato il primo a denunciare «il reticolo di cointeressenze». «Perissinotto ha impegnato le Generali in investimenti nelle attività di finanzieri e imprenditori veneti che a loro volta hanno acquistato titoli del Leone e gli hanno dato sostegno. Un incrocio a geometria variabile che ricorda in sedicesimo gli intrecci tra banca e impresa della vecchia Mediobanca e, poi, di Capitalia ma che, a differenza di quelli, si è rivelato ben presto poco conveniente per la compagnia», dice Mucchetti a Il Sole 24 Ore.

In un puntuale articolo publicato sul Corriere della Sera il 16 dicembre scorso Mucchetti aveva denunciato le anomalie di quella che forse è stata la più singolare delle sette operazioni al centro dell'indagine voluta da Greco. Ci riferiamo all'affare Allbest, in cui veicoli lussemburghesi, bahamensi, panamensi, argentini e delle Isole Vergini Britanniche sono stati usati nell'acquisto da parte di Generali di titoli Ilva posseduti indirettamente dalla famiglia Amenduni, la quale è azionista di Generali attraverso i veicoli Ferak ed Effeti. Prezzo pagato per quei titoli Ilva: 180,2 milioni.
Secondo la "Sintesi" già citata, quell'operazione è stata fatta senza «una perizia di stima o valutazione iniziale» e «l'investimento ha riguardato una partecipazione di assoluta minoranza, priva di particolari prerogative, in totale assenza di rimedi e meccanismi contrattuali tali da garantire un pur limitato rientro o diritto di liquidazione dell'investimento».

A marzo, la «potenziale area di rischio» per Generali su quell'"affare" è stata stimata da Kpmg in 111,6 milioni. Ma, a seconda di come si concluderà la vicenda del'Ilva, per il gruppo triestino potrebbe avvicinarsi molto di più all'intero prezzo pagato. Mentre gli Amenduni hanno 180 milioni di motivi in meno per preoccuparsi.
Come abbiamo detto Generali ha deciso di guardare avanti e ingoiare il rospo. Chissà se la Consob deciderà di fare lo stesso?

cgatti@ilsole24ore.us

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