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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2014 alle ore 13:56.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:14.

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Si fa presto a dire «bene comune», ma in Italia purtroppo si fa anche prima a provocare «sprechi collettivi». Prendiamo l'acqua, «bene comune» quant'altri mai. Da noi ha un costo elevato e se ne disperde troppa. Il nostro sistema idrico dissolve nei tubi circa il 33% dell'acqua (un terzo!), con un costo calcolato in 3,7 miliardi di euro l'anno.

Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nel nuovo rapporto dell'Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva per il 2013, diffuso alla vigilia della Giornata mondiale dell'acqua. Il dato grave è che dal 2007 la dispersione è peggiorata in ben 56 città. Ora, quando si dice che un bene comune deve anche essere pubblico, è bene riflettere sugli obiettivi che ci si pone. In questo caso le priorità dovrebbero essere due: minimo spreco, prezzo accessibile. Qui si vede che, nelle condizioni date, proprio questi due obiettivi sono lontani dall'essere raggiunti. Ecco perché, anche sul tema della gestione privata dei servizi, l'esperienza deve far premio sul tifo politico-ideologico. Perché l'esperienza funziona meglio.

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