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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2014 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:58.

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Conclusa la transizione al digitale, l'industria televisiva nazionale chiede parità di condizioni per competere con i colossi del web. Mediaset, con il suo presidente Fedele Confalonieri, "chiude la porta" alla cessione di ulteriori frequenze alle società di tlc per la banda larga mobile. Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, chiede la collaborazione dell'industria televisiva a un progetto-Paese con l'obiettivo di «raccontare l'industria nelle sue produzioni, storie, capacità creative e innovative.

Raccontare le opportunità di lavoro che continua a creare. Siamo parte della stessa cultura del fare: crescita e rilancio stanno nelle mani delle imprese italiane». Le tv locali chiedono un consolidamento del settore che premi le emittenti che operano come impresa e fanno informazione per il territorio.
A un anno dalla fondazione, nell'anno in cui ricorrono i 90 anni della radio, i 60 della televisione e il 25 del web, Confindustria Radio Televisioni, nella sua prima assemblea generale, ha messo in rilievo lo "stato dell'arte" di un settore determinato a uscire dalla tenaglia in cui è stretto tra crisi della risorsa pubblicitaria e l'aggressività della sfida portata avanti dagli operatori globali, quali Google-You Tube, Apple, Netflix, Amazon e Facebook.
Rodolfo De Laurentiis, presidente di Confindustria Radio Tv, illustra la situazione del settore: il consumo medio di tv, quattro ore e 21 minuti, che cresce ancora nel 2013 sul 2012; il digitale terrestre presente nel 93% delle famiglie, con una transizione che ha richiesto cinque miliardi di investimenti a favore dell'industria dell'ICT; la pay tv via satellite in 4,7 milioni di famiglie e il satellite gratuito in altre tre milioni; 192 canali nazionali rilevati da Auditel con 33 editori, satellite incluso; sei canali in HD sul digitale terrestre e ben 60 su Sky, oltre a un canale in 3D, e tre canali in HD su TivùSat.

Più diverse anomalie, come l'incredibile numero di 3.200 canali - o supposti tali - realizzati da circa 500 emittenti locali. Questo, in una congiuntura negativa che vede l'intero settore dei media perdere il 35% della pubblicità negli ultimi cinque anni (la televisione ha perso il 27%, con una perdita maggiore per le tv locali, e la radio il 25 per cento). «Il sistema televisivo - sottolinea De Laurentiis - resta centrale per il sistema pubblicitario e per lo stesso web. Basta pensare ai 190mila tweet generati dal Festival di Sanremo. Per le tv locali va supportato il processo di consolidamento in corso».
La richiesta emersa da tutti gli interventi è di avere una parità di condizioni con i giganti del web, che competono sul tempo e l'attenzione degli utenti, ma non hanno gli stessi obblighi delle emittenti quanto ad affollamenti pubblicitari, quote di investimento e programmazione in produzioni europee, par condicio, tutela dei minori. Per il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, per la tutela del diritto d'autore e la lotta alla pirateria, occorre affiancare a leggi e Regolamenti anche «forme di autoregolamentazione. La pubblicità on line, ad esempio, deve darsi delle regole». Il presidente dell'Antitrust segnala pericoli di concentrazione di diritti premium sul calcio nei casi di British Telecom e Deutsche Telecom.

Anche per Antonio Preto, commissario dell'Agcom, vanno risolte le «asimmetrie normative tra operatori tv e società di Internet. Oggi cinema, fiction e altri generi di intrattenimento sono finanziati direttamente o indirettamente solo dal piccolo schermo. Si deve andare verso una nuova regolazione dei contenuti per settori prima separati e oggi convergenti».
Una questione aperta è quella delle frequenze. Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset: «Sulla banda 700 (dell'UHF, canali dal 49 al 60, ndr) hai un'autorizzazione per vent'anni e, tutto a un tratto, ti trovi a dover migrare da un'altra parte». Per Antonio Marano, vicedirettore generale della Rai, l'azienda pubblica dev'essere «complementare a Mediaset e Sky (per aver detto a suo tempo una cosa simile, Letizia Moratti subì critiche feroci, ndr). Siamo ancora competitivi con l'attuale perimetro aziendale e di offerta? No. Va rivisto». Maurizio Giunco, presidente della Frt, parte dall'Italia nel 1848 per mostrare come le 93 tv locali che fatturano più di un milione di euro siano il 18% di quelle totali e come su 480 milioni di ricavi del comparto, ben il 75% sia generato dalle prime cento tv, «ma norme e regolamenti sono ricaduti proprio sulla testa delle azienda strutturate. L'Italia vuole ancora le tv locali?» si chiede Giunco.

Per Eric Gerritsen, direttore della comunicazione di Sky Italia, in Italia il comparto vale lo 0,5% del Pil contro lo 0,85% della Gran Bretagna, dove la pay tv ha quasi il doppio degli abbonati. «Sky viene visto ancora come operatore satellitare, ma non è così: l'accordo con Telecom Italia porterà i nostri contenuti sulla banda larga dal 2015 mentre Cielo, sul digitale terrestre, sta crescendo e abbiamo lanciato Sky on line. Occorrono norme più elastiche, sugli obblighi di produzione e pubblicità, ma serve anche una nuova gestione delle frequenze».
In conclusione, Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo con delega alle Comunicazioni, sostiene che «bisogna ragionare come sistema Paese, per avere un ruolo e non essere una prateria per altri soggetti». Sulle frequenze, «alla fine dell'attuale percorso di collaborazione istituzionale per risolvere le interferenze con i paesi confinanti - continua Giacomelli –vanno tutte iscritte al registro di Ginevra anche per dar loro un valore. Se no, l'acquirente unico diventa lo Stato e non può essere. Certo, è umiliante sentirsi dire a livello internazionale che Italia e Iran sono sono i due paesi sorvegliati speciali sulle frequenze». Giacomelli si dice pronto, infine, ad assegnare alle tv locali, eventualmente, le frequenze nazionali che non dovessero esserlo nella gara dove Urbano Cairo deve comunicare le sue intenzioni, in quanto unico partecipante.

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