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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2014 alle ore 09:25.
L'ultima modifica è del 02 agosto 2014 alle ore 10:32.

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Questa linea di condotta è la regola proposta per la prima volta nel 1993 da John Taylor della Stanford University, ricavata dalla stima statistica di quello che la Fed sembrava aver fatto durante il mandato di Paul Volcker e Alan Greenspan, in un periodo di bassa inflazione e bassa disoccupazione. Secondo la regola di Taylor, il tasso d'interesse sui fondi federali dovrebbe essere del 2% più il tasso corrente di inflazione più metà della differenza fra inflazione corrente e inflazione target e metà della differenza percentuale fra il Pil corrente e il Pil con piena occupazione.
Tutto questo significa che se l'economia raggiunge la piena occupazione e il target d'inflazione, il tasso d'interesse sui fondi federali dovrebbe essere pari al 2% più il tasso di inflazione. Sarebbe più alto se il tasso di inflazione fosse superiore al target e inferiore se il Pil corrente fosse minore rispetto al livello di piena occupazione.
Data l'incertezza sul livello di Pil con piena occupazione, questa regola lascia alla Fed un grosso margine discrezionale. La Fed potrebbe ribattere che il divario fra il Pil corrente e Pil con piena occupazione è maggiore di quello implicato da un tasso di disoccupazione del 6,1%, dato il numero elevato di lavoratori part-time che preferirebbero un impiego a tempo pieno e la diminuzione netta del tasso di partecipazione alla forza lavoro. Se il divario del Pil è del 4%, come si evince da una recente stima dell'Ufficio bilancio del Congresso, la regola di Taylor indicherebbe un tasso d'interesse sui fondi federali ottimale di circa 1,25% (2 + 1,5 - 0,25 - 2), rispetto all'attuale tasso di appena 0,1%.

Se il tasso d'interesse sui fondi federali può puntare all'1% nei prossimi 12 o 18 mesi, il divario decrescente del Pil porterà un tasso di interesse ancora superiore al quello della regola di Taylor. E a complicare ulteriormente le cose, date le massicce riserve in eccesso delle banche americane a seguito delle politiche di acquisto di bond perseguite dalla Fed (ovvero dell'allentamento monetario), il tasso di interesse sui fondi non sarà più determinante come prima. E la Fed si concentrerà, invece, sul tasso di interesse delle riserve in eccesso.
La legge proposta è piena di requisiti eccessivi e impossibili e la Camera dei Rappresentanti controllata dai Repubblicani potrebbe non riuscire a farla passare, nemmeno se emendata. E anche se vi riuscisse, non passerebbe il vaglio del Senato che è controllato dai Democratici. Ma se alle prossime elezioni i Repubblicani ottengono la maggioranza al Senato, una qualche forma di legge che imponga una linea di condotta alla politica monetaria potrebbe arrivare sul tavolo del presidente che potrebbe porre il veto. Se però alle elezioni del 2016 venisse eletto un presidente repubblicano, potrebbe anche non farlo.

La Fed teme indubbiamente che, se venisse accettata questa proposta di legge, il Congresso potrebbe imporre requisiti più severi portando a una politica monetaria più restrittiva. Ecco perché la nuova presidente della Fed, Janet Yellen, ha espresso la sua più ferma opposizione in un recente intervento al Congresso.
Una cosa è certa: la legge farà pressione sulla Fed affinché faccia maggiore attenzione all'inflazione, evitando un tasso persistente superiore al suo target del 2%. Altrimenti, l'indipendenza operativa della Fed potrebbe essere ridotta, costringendola a concentrare maggiormente le sue politiche sull'inflazione.
(Traduzione di Francesca Novajra)

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