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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 09 settembre 2014 alle ore 11:09.

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A Il Sole 24 Ore, il Dottor Fiorella ha detto di non voler rilasciare dichiarazioni finché non avrà modo di leggere gli atti. Ma dopo aver smentito «categoricamente» quello che sostiene Brunetti ha aggiunto: «Dire che uno è dopato… bisogna vedere in base a cosa, a quale criteri».

Effettivamente i sospetti di altri marciatori potrebbero anche essere frutto di invidia, ma il Dottor Fiorella aveva ben altre evidenze. A partire dai vari "missed test" di Schwazer, cioè le occasioni in cui non si era fatto trovare per i test a sorpresa previsti dai regolamenti nazionali e internazionali. A marzo e a settembre del 2010, periodo in cui lo stesso Schwazer ha ammesso di essere "in cura" da Ferrari, ne aveva saltati due (al terzo in 18 mesi scatta la squalifica automatica). E Fiorella ne era stato informato dallo stesso Schwazer. La risposta di Fiorella alla mail in cui il marciatore lo informava che per la seconda volta in sei mesi gli ispettori dell'antidoping lo avevano cercato senza trovarlo: «Certo che come sfiga non scherzi!!!!!!».

Non basta: quando, alla vigilia delle Olimpiadi di Londra, Fiorella viene informato dall'atleta della sua intenzione di non risiedere nel villaggio olimpico con tutti gli altri atleti ma di fare base in Germania, a casa dell'allora fidanzata Carolina Kostner, Fiorella scrive: «La decisione sulla permanenza a Londra o meno spetta a te, ma ricorda che certamente alla Iaaf (la federazione internazionale NdR) "puzzerà" questo tuo andar su e giù». Ancora più emblematico è il post scriptum di quel messaggio: «Se fai qualche stronzata ti taglio le palle». Al quale Schwazer risponde invitando il medico a non preoccuparsi perché «le cazzate le ho fatto a marzo», con un chiaro riferimento a due gare, nella 20 e nella 50km, nelle quali aveva sorpreso un po' tutti con performance straordinarie (e un record italiano).
Conclusione degli inquirenti: quello scambio di mail «appare ragionevolmente interpretabile quale indice della consapevolezza del medico in merito all'attività di doping seguita dall'atleta».

Ancora più grave quello che è successo con gli staffettisti della 4x100 che agli Europei di Barcellona hanno vinto l'argento battendo lo storico record stabilito 27 anni prima dal quartetto guidato da Pietro Mennea (vedi box). Oppure quello che ha ammesso Andrew Howe nella propria deposizione: «Quando in giugno ho chiamato Fiorella per esprimergli solidarietà (dopo la perquisizione dei Carabinieri, NdR) gli ho espresso la mia preoccupazione sul fatto che i messaggi di whatsapp da me inviatigli nel 2012 potessero trovarsi nei telefoni o tablet che gli erano stati sequestrati. Fiorella mi disse di non preoccuparmi che ciò non sarebbe accaduto in quanto lui aveva provveduto a cancellarli (...) (In quei messaggi) io gli avevo chiesto informazioni circa la durata dell'effetto terapeutico del cortisone nel corpo umano. Tale richiesta era giustificata dal fatto che volevo essere sicuro di non presentarmi in gara con residui del farmaco nel mio organismo (...) in quella circostanza vinsi i campionati italiani sui 200 metri ma non sono stato sottoposto al controllo antidoping». Conclusione degli inquirenti: «L'unico intento di Fiorella sembra quello di proteggere l'atleta dalle possibili conseguenze di un'azione potenzialmente illecita che lui avrebbe avuto comunque il dovere di denunciare, non certo di coprire».

«Adesso abbiamo due scelte: continuare a tenere gli occhi chiusi, oppure ammettere che il sistema antidoping così come è stato predisposto dopo la legge del 2000 non funziona. Perché non si può mettere la volpe a guardia del pollaio», dice Donati a Il Sole 24 Ore.
La legge del 2000 contemplava la creazione di un'agenzia indipendente anti-doping, come previsto nella maggior parte degli altri Paesi. Ma il 16 ottobre 2007, l'intento dei legislatori è stato snaturato da un accordo sottoscritto dagli allora ministri della Salute Livia Turco e delle Politiche giovanili Giovanna Melandri insieme al presidente del Coni Gianni Petrucci. «L'accordo, si leggeva nel comunicato governativo di quel giorno, prevede di riservare alla commissione Coni-Nado i controlli sullo sport agonistico di livello nazionale e internazionale e alla commissione interministeriale i controlli sanitari antidoping sulle attività sportive non agonistiche».

Quanto poco seri siano stati gli sforzi della nucleo anti-doping del Coni, il cosiddetto Nado, è solo attestato dagli atti appena depositati a Bolzano. Secondo la Procura il Nado non solo ha per anni gestito l'antidoping «secondo una perversa logica della riduzione del danno» ma ha addirittura «deliberatamente allestito un sistema "colabrodo" - come lo definisce lo stesso Fischetto in una telefonata intercettata - fatto solo di apparenza e che quindi lascia agli atleti malintenzionati enormi varchi per sfuggire ai controlli e per evitare le positività».
A Il Sole 24 Ore il Coni ha tenuto a sottolineare che «l'indagine della Procura verte su circostanze ed eventi che risalgono fino al 2012, prima del cambio dei vertici e dell'elezione del Presidente Malagò, che non può quindi conoscere il quadro generale di riferimento e i fatti antecedenti alla sua nomina». Il Coni ci ha detto che «si riserva di esprimere comunque la propria posizione sulla vicenda dopo aver preso visione formale degli atti del procedimento».
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