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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:19.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 15:05.

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Ancora più severe sono state le critiche che Dudley, l'ex partner di Goldman Sachs oggi presidente della Federal Reserve di New York, ha rivolto alla comunità finanziaria in un discorso fatto il 20 ottobre scorso durante un workshop intitolato Riformare la cultura e il comportamento dell'industria dei servizi finanziari.

Il capo della Federal Reserve newyorkese ha denunciato «un problema di cultura», facendo riferimento a quell'insieme di atteggiamenti e prassi dominanti nel settore: «Negli ultimi anni le istituzioni finanziarie hanno ripetutamente dato dimostrazione di comportamenti poco professionali, di carenze etiche e di infrazione delle regole. E quei comportamenti non sono cessati con la crisi finanziaria, bensì sono continuati nonostante tutti gli interventi normativi».
Dudley ha proseguito dicendo di «rigettare l'idea che l'attuale stato delle cose sia semplicemente il risultato delle azioni di singoli trader o di poche mele marce… perché in un'organizzazione i problemi etici non derivano dalle mele andate a male ma da come si conservano le mele. In altre parole dalla cultura dominante, cioè da quelle norme implicite che guidano i comportamenti in assenza di regole scritte, e a volte addirittura a dispetto di esplicite regole… Come una brezza leggera, la cultura aziendale può essere difficile da vedere, ma la si sente».
Dudley non si è limitato a questa lavata di capo. Ha avanzato proposte specifiche per porre rimedio alla «bancarotta culturale» di Wall Street all'origine della più grave crisi economica mondiale dal 1929.

Per “responsabilizzare” banchieri e trader, ha detto che occorrerebbe fare pagare anche a loro le sanzioni comminate per violazioni normative fino a oggi pagate soltanto dalle istituzioni. Insomma, chi ha preso le decisioni scorrette ne dovrebbe pagare il prezzo. Questo, a suo dire, spingerebbe i banchieri a fare di tutto per evitare o fermare le cattive condotte. E se si considera che dal 2008 a oggi le sanzioni imposte ai colossi bancari hanno superato i 100 miliardi di dollari, si è portati a concordare.
Sul fronte dell'eccesso di rischio, Dudley ha invece proposto di cambiare le modalità di remunerazione con una dilazione di ben dieci anni nell'incasso dei premi contrattuali previsti. Ciò al fine non soltanto di verificare eventuali responsabilità in caso di comportamenti o azioni illecite, ma anche di disincentivare comportamenti troppo aggressivi intesi a produrre profitti di breve termine. Dudley l'ha definita una «garanzia di buona esecuzione».
Ma se fino al 4 novembre le probabilità che tali misure venissero adottate dalle banche oppure imposte dal Congresso erano ridotte. Adesso sono praticamente trascurabili. Ringalluzziti dalla “vittoria” elettorale, i colossi della finanza non avranno infatti alcun incentivo ad accoglierle, mentre i repubblicani non sono ideologicamente portati a sposarle comunque.

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