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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2014 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 13 dicembre 2014 alle ore 11:50.

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Dal 24 febbraio 2014 Pier Carlo Padoan è ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo RenziDal 24 febbraio 2014 Pier Carlo Padoan è ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Renzi

Eutopia: Alcuni economisti come Stiglitz, dicono che non è il momento adatto per una riforma del lavoro, perché rischia di abbassare gli stipendi e non favorire la domanda. Lei che cosa ne pensa?
Pier Carlo Padoan: Bisognerebbe mettersi d'accordo con Stiglitz, per il quale ho grande ammirazione, su quali siano oggi le determinanti della disoccupazione. Siamo in una situazione in cui paradossalmente c'è una carenza sia di domanda, sia di offerta. Questo perché il prodotto potenziale è diminuito e la domanda si è adagiata sul prodotto potenziale. Bisogna agire dal lato della domanda di lavoro, facendo in modo che il costo unitario del lavoro si abbassi. Il governo sta provando ad abbattere le tasse e ad aumentare la produttività, senza che i salari nominali scendano. Bisogna agire facendo in modo che le imprese abbiano voglia di assumere e di investire, e che lo possano fare più facilmente, ossia che dal lato dell'offerta ci siano regole più semplici. Questa è la logica che stiamo cercando di seguire: agire da tutti e due i lati.

Eutopia: Anche in un contesto di deflazione?
Pier Carlo Padoan: Il contesto di deflazione è un disastro, soprattutto per un paese ad alto debito. Se c'è deflazione, crescita nominale negativa, anche se non spendiamo un soldo in più di finanza pubblica il debito aumenta per definizione. La deflazione non è sotto il controllo dei governi nazionali. Quello che i governi possono fare è spingere la crescita del reddito reale, però i prezzi, soprattutto in un'unione monetaria, dipendono da altri soggetti. Questo è un esempio di complementarietà fra politiche nazionali e politiche europee.

Eutopia: Il discorso sugli investimenti ci riporta al fatto che una politica di sviluppo deve essere europea e non può essere nazionale. Ma si pone il problema del trasferimento di risorse tra stati membri. Perché a un paese come la Germania dovrebbe convenire un trasferimento di risorse dal centro alla periferia? Forse dovremmo spostare la questione da qui a trent'anni, quando la competizione fra stati membri avverrà tra aree, non tra stati nazionali.
Pier Carlo Padoan: Voglio prendere un altro aspetto di questo ragionamento e cioè l'orizzonte temporale. Una delle sgradevoli sensazioni che si provano in questo momento in Europa non è solo che a volte tende a prevalere la dimensione nazionale su quella europea, ma che l'orizzonte temporale della politica economica si accorcia sempre di più; il che è un paradosso, perché se vogliamo affrontare l'eredità della recessione dobbiamo per forza avere un orizzonte temporale di lungo termine, perché dobbiamo scuotere la struttura; e per definizione, la struttura cambia non immediatamente, ma con un po' di ritardo. Invece la prospettiva nella quale si prendono le decisioni delle politiche economiche è sempre più di breve termine; tanto di breve termine che in alcuni casi la politica rischia di essere self-defeating. Ci sono tanti esempi che si possono immaginare, soprattutto nella politica fiscale, o nella politica dell'investimento, che diventa sempre più a breve termine e che a un certo punto smette di essere investimento in capacità produttiva e diventa investimento in attività finanziaria. Questo vuol dire che si è progressivamente persa nei fatti, più che nelle affermazioni, la concezione dell'Europa. C'è un andare di pari passo tra dimensione nazionale e nazionalista, che si sta affermando, e accorciamento dell'orizzonte temporale. Questa è una miscela esplosiva, perché l'accorciamento dell'orizzonte temporale porta ai conflitti, non alle soluzioni, e a sua volta accresce la propensione ad andare verso la soluzione nazionale. Questa cosa, che percepisco nel giornaliero, nel modo in cui i problemi sono affrontati, si cambia con la politica. O, per dirla in altri termini, manca sempre di più la leadership indispensabile per ridare un orizzonte temporale lungo e di conseguenza più europeo.

Eutopia: oggi non c'è una leadership che pone questo tema al centro del dibattito. come pensa che si possa ripartire?
Pier Carlo Padoan: Qui posso rispondere per titoli: pragmaticamente, non c'è bisogno di fare nuovi trattati; ci sono tante missions europee che potrebbero essere attivate, a cominciare da quelle vecchio stile, come riprendere in mano l'agenda del mercato interno, l'energia, che richiedono di fatto una messa in comune della sovranità e un esercizio concreto di leadership, perché senza leadership non c'è la voglia di mettersi in comune; mettersi in comune implica un contratto di lungo termine. Chi fornisce questa leadership? Non credo che la possa fornire un paese solo: deve essere una massa critica di paesi, di governi che vogliono intraprendere questa strada e quindi una massa critica di consenso politico. La sensazione è che stiamo correndo verso il basso, in un processo in cui nessuno muove le marionette, ma di cui stiamo diventando tutti prigionieri.

Eutopia: In Europa si discute di parametri economici, con sigle incomprensibili per la maggior parte delle persone. Qual è il rischio dell'aver impostato una comunicazione di questo tipo?
Pier Carlo Padoan: Le regole servono e servono anche le formule. Le regole economiche e i metodi statistici per misurarle sono utili, ma sono soggette ad assunzioni di partenza; possono anche richiedere una loro revisione se la situazione è cambiata rispetto a quando sono state formulate. Secondo me ci vuole un po' di buon senso; faccio un esempio: la situazione economica in cui si trova l'Europa oggi è sicuramente molto diversa rispetto a quella in cui si erano immaginate le formule che hanno portato alla definizione di saldo strutturale. Il buon senso dice che di comune accordo le regole possono essere ripensate, alla luce delle circostanze eccezionali, come recita il patto di stabilità e crescita. Le circostanze eccezionali ci sono oggi in Italia. Attraverso la valutazione comune delle regole si gioca in realtà un altro gioco, quello della fiducia reciproca. In questo orizzonte temporale sempre più breve manca la visione europea: la dimensione nazionale prevale perché non c'è un sufficiente grado di fiducia reciproca, e si corre il rischio di perdere d'occhio la situazione complessiva.

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