Cultura

Chaplin, un monello di gag geniali

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Chaplin, un monello di gag geniali

Charlie Chaplin compone uno dei suoi capolavori, “The Kid”, in un momento di grande crisi personale, pochi giorni dopo la morte del figlio appena nato, e in piena crisi con la giovanissima moglie Mildred Harris. Nel frattempo il regista aveva fondato insieme a David Wark Griffith, Douglas Fairbanks e Mary Pickford la United Artists, per emanciparsi dal potere delle case di produzione.

Ma già in questo film, l’ultimo fatto per la First National e suo primo lungometraggio, diede libero sfogo a una nuova pratica di controllo maniacale della messa in scena. Nove mesi di riprese, un rapporto esorbitante tra girato e prodotto finito (più di 50 a 1), più un montaggio durato per altri mesi, di nascosto, per la paura che il film venisse messo sotto sequestro dai giudici durante la causa di divorzio dalla Harris. Alla fine il film uscirà nel febbraio del 1921, e sarà un successo planetario.

Chaplin era inglese, cresciuto nei sobborghi di Londra, in povertà, senza conoscere il padre e con una madre gravemente depressa. In questo film ricostruisce minuziosamente l’ambiente della sua infanzia, e ne risulta un’atmosfera “dickensiana”. Ma perché il mondo di Dickens, semplicemente, era in un certo modo anche il suo. L’autobiografismo si unisce magicamente alle tecniche del melodramma, esplicite e quasi “a vista”, che risuonano di profonda sincerità nel loro essere il mezzo con cui si raccontano le ingiustizie, il sogno, il riscatto.

Il monello, che ha ovviamente gag geniali (fin dal gesto di Charlot di guardare in alto non appena trova il bambino per strada, come se gliel’avessero lanciato da chissà dove) è anche uno dei film più commoventi della storia del cinema, un miracolo di comico e patetico insieme, forse anche perché in esso si sente l’immediata potenza di chi trae la forza della fiaba da una realtà cruda, che il suo pubblico può cogliere; insomma la forza di un cinema che è riuscito, come mai prima e forse nemmeno dopo, a parlare a tutto il mondo, agli intellettuali e alle masse - anzi, allora si sarebbe detto agli oppressi.

Lo scrittore Joseph Roth, all’apparire del film, si interrogherà strabiliato sulla naturalezza del protagonista Jackie Coogan, così diverso dagli attori-bambini in voga. «Come è possibile che un bambino tragga profitto dalla propria infanzia e resti lo stesso un vero bambino; come si possono trasformare guance paffute, una fossetta nel mento, occhi pieni di una malinconia maliziosa in strumenti del mestiere?». A trarre profitto dalle doti di Coogan, infatti, furono la madre e il patrigno, che dissiparono i suoi enormi guadagni, tanto che il governo della California varò una legge nota come “Coogan act” per tutelare gli attori minorenni. Ma questa è un’altra, triste, storia.