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Industria 4.0, la lezione tedesca

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Industria 4.0, la lezione tedesca

Torniamo a parlare di Industria 4.0. Questa, prima ancora di essere descritta come una realtà emergente nel mondo industriale, va individuata come una decisa azione di politica industriale della Repubblica federale tedesca.

Una politica industriale non più intesa, come troppo spesso nel passato, come azione rivolta ad inseguire anatre azzoppate da crisi sempre troppo lunghe, ma come un atto consapevole di un’autorità di governo che chiama l’intera comunità ad orientarsi unitariamente e coerentemente verso un nuovo profilo dell’economia e quindi della società tutta.

Presentando la “Nuova strategia high tech - Innovazioni per la Germania” il ministro per l’educazione e la ricerca, Johanna Wanka, ricorda come intelligenza, networking e produzione siano le chiavi per lo sviluppo di Industria 4.0, intesa come la nuova strategia di lungo periodo per l’intera economia tedesca e nel contempo ricorda come su tale strategia dal 2012 il governo federale abbia posto 120 milioni di euro.

Negli atti del governo tedesco colpisce innanzitutto l’avere dato un quadro di riferimento unitario alla nuova prospettiva dello sviluppo, con un brand, appunto Industrie 4.0, che esalta il salto previsto dalla attuale diffusa percezione di una economia della conoscenza, definita 2.0, verso una nuova economia digitale, di cui comunque la produzione manifatturiera resta il centro motore.

Al di sotto di questo brand del resto colpisce la puntigliosità tutta tedesca con cui sono stati articolati i 64 progetti e come su ognuno di essi siano stati chiamati al lavoro università, grandi imprese, Fraunhofer, agenzie territoriali. Impressiona certo come le stesse imprese si assumano nella maggioranza dei casi il coordinamento di progetti, che coinvolgono, oltre a enti pubblici di ricerca, altre imprese anche fra loro potenzialmente concorrenti.

Questo avviene in una visione di azione precompetitiva che assume però il ruolo di costruzione di un sistema, che nel suo insieme compete a livello globale sul terreno dell’incrocio sempre più strategico tra nuova scienza e nuova produzione.

Rilevante è il ruolo di quelle medie imprese a medio-alta tecnologia che costituisce il cuore del sistema tedesco.

Ad esempio nel progetto “network intelligenti di produzione” sono coinvolti ventuno centri pubblici e privati, coordinati da una impresa, la Wittenstein Ag, di media dimensione, con un fatturato di 280 milioni di euro e poco meno di duemila dipendenti, ma certamente leader nel suo comparto.

Si disegna così una nuova mappatura industriale in cui la stessa ricerca diviene la nuova barriera all’entrata nei settori industriali.Forte è dunque l’immagine di un governo che, senza mai citare la parola abusata di politica industriale, attua una strategia, che per avere successo deve coinvolgere tutti gli snodi, questi sì intelligenti, di un sistema paese.

Su tutto prevale comunque la scelta di fondo di un paese che decide di rimanere coscientemente manifatturiero e come tale si assume il compito di esserne protagonista.

La convinzione è che una leadership produttiva si realizzi innanzitutto componendo il difficile meccano di una società complessa attraverso la individuazione dei corpi intermedi e delle infrastrutture di sistema, necessarie al funzionamento di una economia industriale effettivamente avanzata.

In altre parole -come diceva in altra epoca Alberto Hirschman - si fa crescere la società rendendo più complessa l’economia, non banalizzandola in sovrasemplificate visioni in cui tutti gli attori sociali si rincorrono come molecole impazzite.

Questa azione del governo tedesco merita attenzione ed anche una certa invidia. Tuttavia resta una politica nazionale, che proprio in virtù del suo prevedibile successo non potrà che aumentare le divaricazioni interne ad una Europa ormai candidata nel suo insieme a divenire il vero vaso di coccio nella nuova economia multipolare.

patrizio.bianchi@unife.it

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