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Dossier No a polveroni. Va colpito chi ha sbagliato

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Dossier | N. 12 articoliRisparmio tradito: dal salvabanche al fondo di solidarietà

No a polveroni. Va colpito chi ha sbagliato

Il drammatico suicidio del pensionato di Civitavecchia ha scosso opinione pubblica e risparmiatori: aveva perso tutto sui bond subordinati della Popolare dell'Etruria, una delle quattro banche commissariate da Bankitalia e salvate dal Governo. Come lui, migliaia di risparmiatori avevano acquistato quei titoli rischiosissimi su consiglio di funzionari e direttori di banca: molti erano ben consapevoli dei rischi che correvano, ma è difficile credere che un piccolo pensionato della cittadina portuale fosse a caccia di rendimenti per speculare in Borsa: è più realistico pensare che sia stato convinto dalla banca, che come molte altre ha piazzato per anni prodotti rischiosi alla clientela senza curarsi troppo delle conseguenze.

Il denaro non restituisce la vita, ma i parenti della vittima, come gli altri clienti delle quattro banche a cui sono stati venduti i bond subordinati senza deguata informazione, hanno diritto e dovere di portare i responsabili della vicenda davanti a un tribunale: è la legge, in caso di condanna, che garantisce il risarcimento del danno.

I fatti di cronaca e i drammi personali, purtroppo, si stanno ora intrecciando con le problematiche sollevate dal salvataggio della Popolare Etruria, di Banca Marche, di CariChieti e di CariFerrara: guai a confondere ruoli, competenze e responsabilità individuali, guai a travolgere strumentalmente ruoli e istituzioni. Il rischio di derive è altissimo: in gioco c'è ora la reputazione del sistema creditizio e finanziario italiano, ma anche la credibilità di authority e governo. La sensazione che la crisi sia scappata di mano è dilagante, come del resto le strumentalizzazioni. E proprio per questo è importante fare chiarezza, distinguere le responsabilità e le colpe individuali dalle scelte dolorose ma inevitabili che sono state prese dal governo. Si potrebbe insistere ancora sul fatto che il percorso normativo per le banche in crisi è il risultato di scelte condivise in sede europea, ma ormai poco cambia: il Paese e i risparmiatori hanno bisogno di risposte concrete ai timori sollevati dalle nuove crisi bancarie.

Garantire l'onestà degli uomini è impossibile, ma applicare la «tolleranza zero» sui reati finanziari è oggi l'unico antidoto al virus della sfiducia, alle polemiche da bar, alle strumentalizzazioni politiche e soprattutto ai polveroni.

Generalizzazioni e processi di piazza non fanno mai giustizia: semmai, sono il miglior rifugio per i responsabili degli scandali. Tradire il risparmio e la fiducia di imprese e famiglie, truffare soci e clienti per interesse personale, falsificare i bilanci e le comunicazioni alle autorità di vigilanza e al mercato per non farsi scoprire e ostacolare le idagini, mistificare o mentire sulla rischiosità di un prodotto per piazzarlo senza scrupoli nei portafogli di risparmiatori ignari o sprovveduti sono un'eccezione non la regola.

Accusare l'intero sistema bancario italiano di aver creato una sorta di far west nel mercato del credito non solo è pericoloso, ma è soprattutto fuorviante. Come è fuorviante affermare che le nuove regole sui salvataggi bancari siano solo un regalo ai banchieri. Durante la crisi le banche sono state salvate in Europa e negli Stati Uniti con il denaro e le garanzie degli Stati, e quindi dei contribuenti.

Oggi, e soprattutto nel caso delle 4 banche in crisi, il costo del salvataggio lo hanno assunto le altre banche: i 3,6 miliardi di euro versati al fondo di risoluzione sono un prestito pagato dagli istituti sani. E persino da quelli meno sani, visto che una quota del finanziamento l'ha versata anche il Monte dei Paschi. E quando si dice che le nostre banche non hanno avuto aiuti di Stato, si dovrebbe aggiungere che quei pochi aiuti erogati con i Monti e i Tremonti bond non solo sono stati restituiti, ma hanno persino garantito un utile allo Stato. Invece dei processi sommari, insomma, sarebbe bene affrontare i casi di malaffare con lo stesso approccio che si è visto negli Usa e in Inghilterra: nessuno ha chiesto ai governi di tornare ad assumere un ruolo guida nei salvataggi bancari, ma al contrario di garantire ai risparmiatori una forte vigilanza e soprattutto pene severissime contro i banchieri responsabili di frodi.

La risposta è stata immediata su due fronti: da un lato, sanzioni che possono privare i banchieri condannati per frode degli ultimi 10 anni di premi e stipendi; dall'altro le stesse banche hanno modificato la governance e i controlli interni inserendo nei contratti con dirigenti e funzionari il diritto alla revocatoria delle retribuzioni in caso di comportamenti illegali. In Italia, stiamo ancora molto indietro. La governance delle imprese ha fatto passi da gigante, ma senza una stretta sulle sanzioni manca un vero detterrente agli abusi di mercato.

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