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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2010 alle ore 18:54.
Gli argomenti di discussione toccati recentemente da alcuni scrittori e giornalisti su queste pagine sono moltissimi, per non dire una moltitudine. Il tema centrale sembra essere la possibilità di aprire un nuovo spazio di dibattito pubblico per la cultura, eventualmente con la Domenica del Sole 24 Ore come spazio privilegiato. Le affermazioni fatte in questi articoli sono forse non del tutto condivisibili, e altri problemi sembrano non essere stati tematizzati.
Si può approfondire un discorso di per sé interessante?
I tre articoli che compongono finora il dibattito, citano un presunto risentimento: degli intellettuali italiani; degli italiani in generale; di uno scrittore costretto a fare una scelta esistenziale lavorativa come insegnante di liceo, ecc. Da un po' di tempo sembra essersi diffuso nelle pagine dei migliori critici letterari l'uso quasi sistematico del concetto di risentimento, o invidia, spesso puntato contro i social networkers. Ora, a meno di discettare del concetto nietzscheano di risentimento - meglio se a partire dalla bella analisi fattane da Deleuze - questo concetto è fintamente esplicativo, un po' come la virtus dormitiva dell'oppio. Di che cosa si parla ESATTAMENTE quando si stigmatizza la Rete come nuovo girone degli invidiosi? Non si prende qui affatto in considerazione il semplice punto di vista di molti normali cittadini più o meno intellettuali: se un bravo autore scrive un buon libro saremo tutti arricchiti dalla sua buona riuscita, di critica o di pubblico o meglio di entrambi. Non si capisce dunque perché dare per scontata la rappresentazione di un pubblico livoroso e irriconoscente. C'è persino un elemento positivo in una sensata invidia del talento, collante sociale essenziale che non dovrebbe dispiacere agli scrittori più liberali: un ottimo libro può forse suscitare nel lettore, e anche nell'altro scrittore, l'ammirazione per un'opera esemplare e il desiderio più o meno implicito di potere un giorno eventualmente produrre qualcosa di similmente bello. (Rossini diceva di Mozart: "la speranza della mia giovinezza, la disperazione della mia maturità e la consolazione della mia vecchiaia").
Se il pubblico italiano viene dipinto come invidioso, la Rete è il perfetto capro espiatorio. Fare politica si ridurrebbe per molti a un clic su Facebook: un'accusa certamente falsa e forse non del tutto priva di malafede. Chi non faceva politica prima di Facebook continua a non farla; chi la faceva già ha trovato in Facebook et similia validi ausili per l'organizzazione e la comunicazione dell'attività politica. In ogni caso, la blogosfera non è una realtà omogenea, e i soggetti online non sono tutti appassionati lettori di Dagospia. Al contrario: chi è intellettualmente attivo in Rete non ha certo tempo e soprattutto non ha probabilmente il gusto per le forme deteriori della comunicazione spettacolare. Perché dunque fare di tutta la Rete un fascio?