Intellettuali e artisti a confronto

Cultura Domenica

Davide Enia: "Io, intanto, faccio altro."

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 14:33.

Davide Enia è un attore e un regista, uno che i suoi spettacoli li ha scritti e recitati tutti, vincendo premi (UBU 2003, Hystrio 2005, tra gli altri) e riempiendo teatri. Ma i suoi "sold out" romani, che qualche anno fa gli sono valsi 12.000 spettatori, oggi, con uno sguardo più distaccato, gli sembrano un dato ridicolo rispetto alla popolazione della capitale. E se quando ha iniziato il sistema del teatro italiano boccheggiava, ora – non si stanca di ripetere – è davvero morto. E lui, per tutta risposta, ha smesso di farne parte.

In quasi tutte le sue interviste dichiara che il teatro in Italia non esiste più. È una forma di denuncia? Una provocazione costruttiva?
E' una realtà di cui bisogna prendere atto, una situazione specifica dell'ambito culturale in cui lavoro da anni. Se posso muovere una critica alla presa di posizione di Raimo, è la sua mancanza di specificità: nell'articolo all'origine del dibattito di questi giorni si parla genericamente di cultura, non si mette a fuoco un determinato settore, non si contestualizza. Non credo che sia un atteggiamento efficace perché, generalizzando, rischia di essere scollegato dalle cose e di svuotare il significato di "cultura".

Contestualizziamo allora, parliamo del teatro, nello specifico. E della sua storia personale..
Quando ho iniziato, otto anni fa, il teatro probabilmente era già morto. Diciamo però che il cadavere era ancora caldo, e sembrava che qualcosa si muovesse, almeno ai miei occhi…I miei spettacoli, come quelli di Ascanio Celestini, Emma Dante, Marco Paolini, costavano poco, pochissimo. Sul palco c'ero solo io e il budget necessario permetteva di andare in scena anche per lunghi periodi in città importanti. Ma il mio era un caso, fortunato. Il sistema teatrale dimostrava già di essere in uno stato di crisi profonda. Non ho mai cercato appoggio nelle istituzioni e, comunque, non l'avrei trovato. Mi sono totalmente autoprodotto.

È un suggerimento? Non ci sono "spazi pubblici", allora l'unica soluzione è autoprodursi?
Assolutamente no, non lo trovo giusto, tanto è vero che per il momento ho rinunciato. Ho smesso di lavorare nel mondo del teatro a condizioni che non consideravo dignitose né per me, né per la mia piccola compagnia (altre due persone). Se il teatro è morto, a me non interessa fare necrofilia, e neppure fare la questua, o baciare anelli. Mi hanno offerto un grosso anticipo per fare un libro, ora mi dedico alla scrittura. Non voglio ingaggiare una lotta per un settore moribondo, credo, forse cinicamente, che debba crollare del tutto. Come in agricoltura, che il campo bruci: forse è l'unico modo per renderlo di nuovo fertile e ripartire da capo.

Davvero tutto da bruciare?
Certamente in Italia, ancora oggi, ci sono molti Festival interessanti, ma sono eventi estemporanei, e per quanto si tratti di iniziative lodevoli, vanno nella stessa direzione, non sono soluzioni reali per un sistema agonizzante. Chi fa teatro avrebbe bisogno di un sostegno ben diverso, di continuità. Fondamentalmente mancano gli operatori culturali capaci di cogliere le necessità del teatro contemporaneo, e di leggerne le potenzialità anche dal punto di vista economico.

La soluzione è uscire di scena?
Per me, in questo momento, è così. Sono arrabbiato con i colleghi che salgono sul palco ai minimi sindacali, arrabbiato con quelli che guadagnano tantissimo lavorando con il cinema e la televisione e quando viene il momento del teatro scendono a compromessi economici stabilizzando le condizioni di un sistema incancrenito. Per me è meglio staccare la spina.
L'altro giorno sono stato chiamato per un incontro tra "intellettuali" palermitani: l'intento della riunione era formare un'enclave che potesse migliorare la qualità e l'efficacia delle proposte. Sono uscito molto infastidito: il problema, mi pare chiaro, non sono le proposte, ma l'insieme di operatori incompetenti a cui rivolgerle, persone che non hanno idea dei flussi economici che il teatro potrebbe muovere o di come muoverli. Un buon gestore in questo campo dovrebbe avere cultura, ma anche conoscere l'economia e la geografia. Io studio, cerco di approfondire ma, molto cinicamente, non sono pagato per fare l'operatore culturale, sento che non è mio compito trovare soluzioni in questo senso.

Tags Correlati: Ascanio Celestini | Davide Enia | Emma Dante | Italia | Marco Paolini | Teatro | UBU |

 
301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.